di Michele Canalini
Senza memoria artificiale oggi è possibile svolgere una qualsiasi attività? Oppure la massiccia diffusione dei dispositivi elettronici ha reso irreversibile l’affidamento alla semplice mente umana per qualsiasi lavoro?
Quello che ci appare come un requisito esclusivo della nostra contemporaneità era invece già una condizione ricercata dal pensiero antico. Infatti, se il retore latino Quintiliano parla nella sua “Institutio oratoria” di una specifica arte della memoria, il solo vero trattato conosciuto su tale disciplina risale ancora più indietro nel tempo. S’intitola “Ad Caium Herennium libri IV” e lo ha compilato un ignoto maestro di retorica a beneficio dei propri allievi. La tecnica mnemonica su cui si basava questo trattato era distinta in due momenti: prima realizzare delle immagini di ciò che si voleva ricordare, poi stabilire un percorso che fissasse tale figure concettuali lungo una successione ordinata di “luoghi”, in grado di richiamare alla mente le nozioni correlate. Un esempio di preparazione di un simile percorso ben costruito è la struttura della “Commedia” di Dante, per citarne uno noto a tutti e più vicino a noi nel tempo.
Tornando all’attualità, però, abbiamo il timore che la memoria artificiale sia costituita quasi essenzialmente dai supporti elettronici. Siano essi smartphone, hard disk, touch screen di qualsiasi elettrodomestico o dispositivi “intelligenti” di differente ambito. Ma in tutto questo, la memoria umana può ancora ritagliarsi uno spazio?
In un’intervista televisiva di qualche settimana fa, Sigfrido Ranucci ha rivelato a Massimo Gramellini che lui nel suo programma “Report” non fa uso del “gobbo” perché si ricorda a memoria gran parte dei contenuti da esporre. Alla reazione quasi incredula di Gramellini, Ranucci ha semplicemente replicato che sua madre era un’insegnante e, sin da piccolo, lo ha abituato a imparare a memoria testi e poesie e ora la sua mente è, come dire, il “device” più affidabile.
Mi ha colpito questo racconto perché, da insegnante, io vedo presentarsi sempre più studenti dalla memoria praticamente a breve, se non a brevissimo termine. Solo perché è stata allenata davvero poco sino a quel momento. Eppure, la nostra mente è il miglior “dispositivo” che mai potremmo possedere nel corso della nostra vita, sia giovane sia adulta. Anzi, a ben dire, è il miglior “report” di efficienza delle nostre facoltà conoscitive.
Anche perché il ricorso esclusivo ai dispositivi artificiali moderni (quelli elettronici) rischia di farci precipitare ancora di più in quella “trappola collettiva”, come l’hanno definita economisti quali Leonardo Bursztyn, Ben Handel, Christopher Roth e altri ancora, quando si sono riferiti all’uso obbligato dei social a opera di coloro che non li amano. Questi ultimi infatti sono costretti a usare comunque i social e gli smartphone per non essere tagliati fuori dalla comunità (Tim Harford, “Perché usiamo i social anche se li odiamo”, su Internazionale, 29 marzo 2024).
Sulla scia dello stesso ragionamento, per ricordarci qualsiasi nozione o concetto, ciascuno di noi è a sua volta costretto a ricadere nella “trappola collettiva”. Dunque, chi non ricorre all’ausilio di altra memoria che non sia la sua è destinato inesorabilmente a divenire un emarginato del nostro “millennio elettronico”. Un soggetto, per forza di cose, destinato paradossalmente alla “damnatio memoriae”?