Valentina Mira, già autrice di “X”, è tra i dodici finalisti del premio Strega con il suo nuovo “Dalla stessa parte mi troverai” (edizioni Sem). Mira è una giovane scrittrice che collabora e ha collaborato con diverse testate, tra cui Il Fatto Quotidiano. L’inclusione tra i finalisti ha suscitato reazioni indignate da parte di alcuni esponenti di estrema destra. Nel libro si narra infatti la vicenda di Mario Scrocca, accusato ingiustamente della strage di Acca Larentia e morto impiccato in carcere in circostanze mai chiarite. Nel libro c’è inoltre una presa di posizione forte contro il fascismo, non solo come ideologia politica. E viene operata una netta distinzione tra chi aderisce a questa ideologia e chi invece vi si oppone.
Nei limiti del possibile vorrei lasciare da parte le “polemiche” che ha provocato l’inclusione del suo libro tra i 12 finalisti del premio Strega. Lei ha centrato il punto spiegando che nessuno ha contestato i fatti narrati. Ad indispettire alcuni esponenti della destra sono i toni e la lettura che Lei dà di questi accadimenti. Insomma, siamo di fronte al potere politico che si scaglia contro le opinioni di una scrittrice, qualcosa che ci rimanda a periodi molto oscuri. Tuttavia, non posso non chiederle se, anche alla luce di altri episodi, da ultimo Scurati ma non solo, ritiene che si sia ormai superata una soglia di guardia e che sarebbe quindi auspicabile una mobilitazione più attiva e decisa da parte di intellettuali e società?
La sorprenderò (forse). Non credo che siamo in tempi in cui a dettare la linea alle persone debbano essere i singoli e le singole come me. Credo che l’1% detiene quanto il restante 99% della popolazione in termini di ricchezza, e che questo sia ingiusto (il dato è Oxfam, ogni anno resta lo stesso). Credo che sia vero quello che scriveva nel 2015 un’ottima giornalista che vinse col suo “La sesta estinzione” il premio Pulitzer: se continuiamo così, dopo i dinosauri veniamo noi. Credo che sia vero (e io sono la prima, nonostante gli studi e l’impegno) che la gente è impoverita, che si fatica ad arrivare a fine mese. Credo che sia vero che esiste il patriarcato, una struttura di potere che danneggia chiunque quel potere non lo detiene, e in ultima istanza perfino chi lo detiene (anche se questo resta un auspicio).
Credo che una mobilitazione contro tutto questo e per un mondo migliore ci sia sempre stata, ma che sia stata repressa da ogni governo, con picchi durante quest’ultimo; un governo che non a torto Scurati nel suo monologo definisce post-fascista, e che già Michela Murgia in tempi non sospetti definiva, senza troppo seguito, fascista. Credo nelle piazze strabordanti e nel potere della gente di cambiare il suo destino. Credo che se non è ancora successo è perché si sono impegnati ad ammazzare i movimenti delle generazioni precedenti alla mia. A colpevolizzarci e a insegnarci che le proteste si fanno coi fiori, coi libri, col dialogo. Invito a leggere “Nessun rimorso” (Coconino Press), libro splendido (un’antologia di contributi sulle violenze commesse al G8 di Genova, nel 2001, dalle forze dell’ordine, ndr). Io nel 2001 avevo 10 anni e l’ho trovato una lettura fondamentale per scoprire cosa certi governi arrivano a fare quando hanno paura di te. Ma anche: che di te possono ancora avere paura. Laddove “te” non sono mai i singoli, ma sempre le collettività.
Una cosa che colpisce nel suo libro è la coraggiosa nettezza con cui il fascismo viene condannato, dopo anni di infiniti distinguo e rivisitazioni, che hanno finito per confondere ed appiattire i torti e le ragioni. Lei ribadisce con forza che ci sono una parte giusta e una sbagliata. Cito un passaggio emblematico. “Il danno peggiore che mi è stato fatto e che, credo, sia ancora perpetrato a livello sistemico, è quello di mettere sullo stesso piano le forme di violenza che hanno imperversato nei decenni in cui non ero ancora nata. Fascismo e antifascismo non sono e non saranno mai la stessa cosa. E la frase «la violenza è sempre sbagliata» – l’ho imparato sulla mia pelle rinunciando a difendermi in alcune situazioni di pericolo, proprio con dei fascisti – è sbagliata. E ipocrita, anche”. Lei è attenta a spiegare come il fascismo vada ben oltre una dimensione politica ma sia un vero proprio modo di essere e di porsi nei confronti degli altri, dove la sopraffazione, non tanto del “debole” ma di chi si trova in una posizione di debolezza, è la norma in ogni ambito della vita. Per spiegarlo narra anche la sua dolorosa vicenda personale. Quanto creda ci sia di questo atteggiamento nella società di oggi?
In realtà non sposo la teoria del “fascismo eterno” di Umberto Eco, perché credo semplicemente che il fascismo non si evinca da caratteristiche più o meno astratte ma che abbia delle radici storiche e politiche ben precise, e come tale vada delineato. Nasce dal fascismo storico, non lo estirpiamo del tutto, nei decenni si riorganizza in due binari solo apparentemente slegati: quello istituzionale (con l’Msi, per esempio, che direttamente dal Pnf derivava) e quello che agiva nell’illegalità spesso in termini di stragismo. Oggi gli eredi di quella tradizione sono arrivati dove l’Msi non è riuscito ad arrivare. L’altra cosa, quella che giustamente nota e che nel libro c’è, è una visione del mondo che va al di là della questione sul fascismo, anche se il fascismo è informato da sempre a quella concezione etica (anti-etica, a mio parere). E cioè la legge del più forte. La modalità per cui si schiaccia chi sta sotto di noi.
Purtroppo questo è trasversale, riguarda il fascismo ma anche il capitalismo, riguarda le dinamiche patriarcali e predatorie di sfruttamento dei corpi e dei territori. Riguarda le morti sul lavoro. Quelle in carcere. Quello che mi domando nel libro è: possibile che quello che ci è stato insegnato come antidoto alla legge del più forte, cioè quella dell’empatia a qualunque costo, abbia dei limiti? Possibile che ci metta in pericolo non difenderci (banalmente anche negando il dialogo) da chi ha già dato dimostrazione di essere violento verbalmente e magari anche fisicamente? Al liceo classico ci dicevano che contro la legge del più forte appunto (homo homini lupus, per Plauto) c’era una massima di Terenzio che diceva: “homo sum, nihil humano a me alienum puto”, cioè “sono un essere umano, quindi non considero lontano da me niente di ciò che è umano”. Eppure, benché sia vero che possiamo capire le ragioni di tutti, bisogna operare una scelta anche molto netta rispetto alle persone a cui riservare l’empatia, il dialogo e soprattutto la fiducia. È quindi sui limiti di quella massima di Terenzio, che per tutta la vita e con risultati a tratti disastrosi ho seguito, che m’interrogo in “Dalla stessa parte mi troverai”. Lo faccio tra le righe e con lo “show don’t tell”, perché non è un saggio filosofico ma un romanzo, peraltro scritto in maniera volutamente comprensibile a tutti. Ha vari livelli di lettura, e tra i vari strati c’è quello che mi ha appena dato l’opportunità di spiegare.
La vicenda che Lei narra nel libro è quella dell’infermiere e militante di sinistra Mario Scrocca morto innocente nella prima notte che passa in carcere, il primo maggio del 1987, impiccato in una cella “anti impiccagione”. Il fatto verrà derubricato come suicidio. Mario è accusato, senza prove e a quasi dieci anni di distanza, dell’uccisione dei due giovani esponenti del Movimento sociale italiano, nel 1978 ad Acca Larentia . A tutt’oggi i veri responsabili non sono stati trovati e sulla vicenda di Scrocca è calato il silenzio. Questo anche perché la moglie, Rossella Scarponi, all’epoca, si trovava in una condizione in cui le era oggettivamente impossibile affrontare una battaglia giudiziaria come quella condotta, coraggiosamente, oltre 20 anni dopo, da Ilaria Cucchi per l’assassinio in carcere da parte delle forze dell’ordine del fratello Stefano. Uno dei suoi auspici è che questo libro possa smuovere le acque e riportare l’attenzione sulla vicenda. Ha avuto qualche segnale in tal senso? Pensa davvero sia possibile?
In realtà non è a causa di Rossella se non si è parlato di Mario. È l’esatto opposto: è grazie a lei se oggi ne parliamo. Grazie alla sua caparbietà, alla fierezza, alle scelte giuste, al non essere una kamikaze né una che pratica la vendetta. Grazie all’amore che ancora prova per lui. Di quest’amore mi sono innamorata, m’è sembrato di capirlo, ho voluto cercare di fare da megafono a questa storia, visto che di solito a quelle come noi non prestano orecchio in molti, anzi. Le polemiche strumentali ed egoriferite che la cosa ha smosso a destra mi hanno ferita solo perché coprivano il nome di Mario Scrocca, la sua storia, dicevano solo “noi, noi, noi” (o forse “a noi!”). Rossella Scarponi e Ilaria Cucchi sono entrambe due donne che hanno combattuto e combattono con i mezzi che avevano e hanno la stessa battaglia, ed è evidente dalle parole di stima che si sono rivolte a una presentazione proprio di questo libro, alla Casa delle Donne di Terni. Quanto al trovare una verità su cosa sia davvero successo a Mario, certo che ho ancora fiducia. Il libro è uscito solo a metà gennaio. Nei libri credo tantissimo. A me hanno riportato un fratello sparito da dieci anni. Credo che possano fare molto più di quel poco che si attribuisce loro.
Lei richiama anche l’attenzione su tanti casi simili avvenuti nel corso degli anni. Cita l’impegno dell’associazione Antigone per documentare e cercare di arginare le morti e le violenze in carcere. Da inizio anno i suicidi sono stati almeno 30, spesso giovani, detenute da poco e con imputazioni non gravi . Nei giorni scorsi è emersa la vicenda del carcere minorile Beccaria di Milano. Pensa abbia senso parlare di “mele marce” o quello con cui abbiamo a che fare è qualcosa di molto più diffuso, pervasivo e difficile da contrastare?
Nel 2024 non ha senso parlare ancora di “mele marce”. In un sistema come quello in cui viviamo c’è la tendenza a emarginare chi marcio non lo è, figuriamoci nei lavori più machisti. Parlo di un settore che conosco, quello giornalistico: l’Fnsi (la Federazione nazionale stampa italiana) pochi anni fa fece uscire i risultati di un’indagine sulle molestie nelle redazioni; pare che l’85% delle giornaliste subisca o abbia subito molestie (ci sono anche casi di stupri) sul lavoro. Se il discorso “mele marce” non vale, in termini di sessismo per esempio, neanche nel giornalismo, figuriamoci in un settore come quello. Ma se nel nostro lavoro c’è chi non parla per paura, e per paura o convenienza non esce dagli schemi che lo status quo impone, figuriamoci lì.
All’inizio del libro racconta delle celebrazioni che ogni anno si svolgono ad Acca Larentia. In quella del 2008 è presente Giorgia Meloni, all’epoca è ministra della Gioventù, che depone i fiori su una croce celtica. A tenerle l’ombrello è Giorgio Castellino, leader del movimento di estrema destra Forza Nuova. Lei citerà in seguito un passaggio del discorso alla Camera di una Meloni divenuta presidente del Consiglio. “Una comunità di uomini e donne che ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle nostre istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica, quando nel nome dell’antifascismo militante ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese. Quella lunga stagione di lutti ha perpetuato l’odio della guerra civile e allontanato una pacificazione nazionale che proprio la destra democratica italiana, più di ogni altro, da sempre auspica”. Perché la destra vuole una pacificazione? La merita? È giusto che il paese volti pagina o almeno provi a farlo?
A considerare da quel discorso e dai fatti, più che pacificazione una certa destra vuole una rimozione. Di memoria, per dirne una. Nel libro argomento più diffusamente, e credo che discorsi complessi vadano portati avanti a più voci e prendendosi lo spazio giusto. Quanto al mio spazio, lo volevo piccolo come quel libro. Non voglio prendermene oltre. Se è giusto che il paese volti pagina? Solo se si è assicurato di aver letto bene quella precedente.