Il G7 Ambiente è il primo banco di prova dopo la Cop 28 di Dubai, ma nasconde diverse insidie, a iniziare dall’attenzione che l’Italia riserva al nucleare. Perché alla ministeriale Clima, Energia e Ambiente a guida italiana, che si terrà dal 28 al 30 aprile a Venaria Reale (Torino), i Paesi dovranno dimostrare come interpretano gli impegni presi a Dubai e come intendono sostenere la propria transizione. Il gruppo dei Sette, però, arriva a questo appuntamento con una bocciatura: la ong internazionale Climate Analytics, con sede a Berlino, ha analizzato i piani di riduzione delle emissioni dei Paesi del G7 e Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti non sono in traiettoria per raggiungere i target al 2030. A pochi giorni da G7, inoltre, il think tank Ecco Climate ha fatto il punto degli obiettivi della ministeriale, spiegando che il rischio più grande per l’Italia è quello di dedicare troppa attenzione politica a tecnologie marginali per la decarbonizzazione, come i biocombustibili, o del tutto assenti nel sistema italiano, come il nucleare. Ma il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin ha già anticipato: si parlerà anche del “passaggio graduale dai combustibili fossili alle energie pulite, quindi di rinnovabili e delle opportune valutazioni sul nucleare”. A dire il vero se ne sta già parlando durante la Planet Week, la settimana che ha preceduto il G7 ed è anche quella del trentottesimo anniversario dal disastro nucleare di Chernobyl. Lo ha ricordato Legambiente che, con un messaggio al ministro Pichetto Fratin, indica sei priorità su cui l’Italia “può e deve dare l’esempio – invita l’associazione – evitando di cedere alle lobby del nucleare e delle fossili”.
La bocciatura sulle emissioni – Nel frattempo, non sono una buona partenza i risultati delle analisi condotte da Climate Analytics, secondo cui i Paesi del G7 sono sulla strada per raggiungere appena la metà delle riduzioni delle emissioni di gas serra necessarie entro il 2030 per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi. Se, infatti, questi governi dovrebbero ridurre le proprie emissioni del 58% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 per fare la loro parte nel raggiungere quel target, l’attuale livello di ambizione collettiva per il 2030 è insufficiente, arrivando al 40-42%, ma le politiche esistenti suggeriscono che il G7 probabilmente raggiungerà solo una riduzione del 19-33% entro la fine di questo decennio. Non solo: Italia e Giappone, l’attuale e la precedente presidenza del Gruppo dei Sette, sono tra i primi 5 Paesi che sovvenzionano progetti di combustibili fossili nel G20.
Gli obiettivi del G7 a guida italiana – A Torino sono attesi anche i rappresentati degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arzebaigian. Come ricorda Ecco Climate, infatti, “il G7 del 2024 si inserisce nel solco della cosiddetta ‘strada per Belém’”, percorso che in due anni porterà alla Cop 30 del 2025, in Brasile, passando per la Cop 29 di Baku. Qui, a novembre 2024, si discuterà del nuovo obiettivo collettivo di finanza per il clima, il budget che sarà messo a disposizione per i Paesi in via di sviluppo e vulnerabili per sostenere gli investimenti necessari a ridurre le emissioni, per l’adattamento e per le perdite e i danni dovuti agli impatti climatici. Alla Cop 30 del 2025, invece, i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi – a dieci anni dallo storica Cop 21 – dovranno presentare nuovi contributi nazionali di riduzione delle emissioni, i cosiddetti Ndc (Nationally Determined Contributions), ovvero gli obiettivi e piani di decarbonizzazione che saranno attuati da ogni Paese per limitare a 1,5°C il riscaldamento globale. Per il think tank climatico italiano, come spiegano Federico Tassan Viol e Luca Bergamaschi, sono tre i pilastri su cui potrà essere giudicato il successo o il fallimento del G7 di Torino. Il primo è il raggiungimento di un accordo su un quadro strategico per sviluppare piani di transizione nazionali allineati all’obiettivo di limitare a 1,5°C il riscaldamento globale. Ci si aspetta, inoltre, che i Paesi G7 indichino in modo concreto come intendono intraprendere la transizione da carbone, petrolio e gas verso le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica (per l’Italia significare slegarsi dalla dipendenza dal gas, costata oltre 90 miliardi tra il 2021 e il 2023) e, infine, che si prenda un impegno per aumentare i flussi finanziari diretti ai Paesi in via di sviluppo e per una profonda revisione delle regole finanziarie attuali. In particolare, per quel che riguarda la gestione del debito e le modalità di accesso ai finanziamenti multilaterali per lo sviluppo.
Il futuro e i rischi del G7 – Ma le insidie sono dietro l’angolo, come fa notare Ecco Climate, secondo cui il rischio è quello di dedicare troppa attenzione a tecnologie, come quella dei biocombustibili o del nucleare. “Anche raggiungendo le aspirazioni del Governo al 2030, spinte dalle priorità di Eni come primo produttore nazionale – spiegano Tassan Viol e Luca Bergamaschi – i biocombustibili raggiungerebbero appena il 15 per cento dei consumi. Obiettivo messo in discussione dalla competizione del trasporto elettrico, che sarà sempre più economico, sostenibile e disponibile su larga scala rispetto ai biocombustibili”. Investire su di essi significa inoltre aggravare la dipendenza energetica dalle importazioni: “Già oggi, quasi la metà delle biomasse per la produzione di biocarburanti provengono da Cina e Indonesia e, con nuovi investimenti previsti in Africa, questa dipendenza può solo aumentare, senza garanzie effettive di sostenibilità ambientale e sociale”. L’altro rischio è legato al nucleare, per il quale l’Italia non dispone di alcun impianto e tra tempi di accettazione sociale, concessione, pianificazione e costruzione, il nucleare da fissione non arriverebbe realisticamente prima di 15-20 anni. Di fatto, il ministro dell’Ambiente lo ha già detto. Al G7, di cui fa parte anche la Francia, paladina in Europa dell’energia dell’atomo, si parlerà di nucleare eccome. In particolare, il 29 aprile si aprirà con la plenaria dei ministri e poi ci sarà la sessione di lavoro dedicata a clima ed energia. Nel pomeriggio, invece, si avvierà la sessione ambiente. Il giorno dopo si terrà una nuova plenaria di tutti i ministri del G7, per definire il comunicato conclusivo.
Il nucleare alla Planet Week, che è anche la settimana dell’anniversario di Chernobyl – Ma di nucleare si sta parlando anche durante la Planet Week, la settimana di iniziative che ha anticipato il G7: tra gli eventi su attivismo giovanile, siccità, decarbonizzazione in edilizia, economia circolare (anche dell’industria estrattiva), geotermia, comunità energetiche, ci sono anche quelli organizzati da Confindustria, Italgas (sponsor) e Associazione italiana nucleare e NuclearEurope, a cui partecipa anche Ansaldo Nucleare. Ma questa è anche la settimana dell’anniversario di Chernobyl, come ricorda Legambiente, secondo cui è insensato che si torni nuovamente a parlare di nucleare mettendolo tra i punti in agenda del G7 Clima, Ambiente, Energia. “Stiamo parlando di una tecnologia non sicura, e che non ha risolto il problema delle scorie radioattive e dello smaltimento, senza dimenticare il rischio incidenti. La stessa Italia – commenta l’associazione – si trova ancora a dover smaltire le vecchie scorie della sua precedente eredità nucleare, a dover ancora realizzare il deposito unico per lo smaltimento definitivo delle scorie a media e bassa attività e a contrastare il traffico illecito dei rifiuti radioattivi”. Per Legambiente, la priorità è invece il phasing-out delle fossili e la cancellazione e la rimodulazione dei sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030, invitando gli altri Paesi a fare altrettanto. Nel 2022, secondo il report di Legambiente ‘Stop sussidi alle fonti fossili’, i sussidi ambientalmente dannosi sono stati più che raddoppiati arrivando a quota 94,8 miliardi con i decreti per l’emergenza bollette causata dalle speculazioni sul gas, mentre le rinnovabili sono ferme sulla carta con quasi 1.400 progetti in valutazione al Mase e in ritardo per le mancate semplificazioni.