Ci vuole un certo coraggio a mettere in scena oggi Brecht in Italia (lo si fa sempre meno, a causa del luogo comune che lo riduce all’alfiere di un teatro politico ormai anacronistico) e di questo dobbiamo dare atto alla compagnia ravennate ErosAntEros, guidata da Davide Sacco e Agata Tomsic. Oltretutto essi hanno scelto un testo difficile e non privo di insidie dietro l’apparente linearità didascalica: Santa Giovanna dei Macelli, scritto fra 1929 e 1930, cioè negli anni in cui Brecht inaugura il “teatro epico”, improntato a una visione rigorosamente marxista della società e dell’arte.
Si tratta di un testo che per l’argomento (l’attualizzazione della vicenda della Pulzella di Orléans nei bassifondi infernali del capitalismo americano, i macelli di Chicago, teatro degli scontri fra padroni e fra questi e i lavoratori, con la Borsa a determinare fortune e rovesci, ma alla fine sempre a danno di “quelli che stanno in basso”), e soprattutto per il suo andamento da apologo politico, è stato spesso ingiustamente confuso con i coevi drammi didattici, mera palestra per apprendisti rivoluzionari nelle intenzioni, come L’accordo, La linea di condotta o L’eccezione e la regola.
Invece abbiamo a che fare con un dramma complesso e di ampio respiro, un vero e proprio itinerario tragico, non soltanto perché si chiude prevedibilmente con la morte dell’”eroina” ma soprattutto perché, al contrario che nell’originale storico, questa suggella il suo fallimento, l’inutilità di una “bontà” che non riesce a passare all’azione, nonostante la finale presa di coscienza. E’ la stessa Giovanna Dark (l’Oscura) ad ammetterlo, con versi giustamente famosi: “Oh bontà senza conseguenze! O mente ottusa!/ Non ho mutato nulla/[…] io vi dico:/ pensate, per quando dovrete lasciare il mondo,/ non solo a essere stati buoni, ma a lasciare/ un mondo buono!”.
Il confronto da fare è semmai con La madre, altro apologo di poco successivo (1930-32), che il drammaturgo di Augusta trasse dal romanzo omonimo di Gorkij, e rispetto al quale Santa Giovanna dei Macelli può essere considerata speculare e opposta, come ebbe a notare il grande critico Bernard Dort: al contrario della presa di coscienza rivoluzionaria di Pelagia Vlassova, la madre del titolo, quella di Giovanna alla fine non cambia nulla e il suo inutile sacrificio andrà a vantaggio non degli oppressi, che pure avrebbe desiderato ardentemente aiutare, ma degli oppressori, capitanati dal “re della carne” Mauler, il notevole antagonista (prototipo del capitalista tanto spietato quanto compassionevole), che la “beatificheranno” ipocritamente nel finale come “combattente e martire […] al servizio di Dio”.
Può sembrare, quello raccontato dal teorico del teatro epico, un mondo distante anni luce dal nostro. E in parte è così, ma solo in parte. Come scrivono gli autori dello spettacolo, “oggi viviamo nell’era della permacrisi, i centri di produzione si sono spostati, le grandi masse operaie non risiedono più nel privilegiato Occidente e i padroni sono più difficili da identificare, ma lo sfruttamento degli esseri viventi e delle risorse non si sono fermati, anzi, hanno generato altri mutamenti, come il surriscaldamento globale, le guerre, la pandemia e la crisi energetica, conseguenze dello stesso sistema economico malato”.
Da tempo ErosAntEros si dedica a un teatro di impegno civile, interrogandosi sul ruolo dell’artista nella società, senza però trascurare mai la ricerca formale e l’innovazione espressiva. In questa impegnativa produzione multimediale (con profusione di video dal vivo e filmati) in quattro lingue, Sacco e Tomsic, che in scena è Giovanna, scommettono sull’attualità dell’opera di Brecht, continuando ad occuparsi, come nei loro lavori precedenti (da Allarmi! a Confini, da Libia a Gaia), delle grandi crisi che affliggono il mondo contemporaneo globalizzato, dove il capitalismo classico ha assunto il volto meno plateale, ma non meno infido e spietato, del neoliberismo.
Decisivo risulta nello spettacolo (che ha debuttato al Teatro Arena del Sole di Bologna il 18 aprile e proseguirà con una tournée europea) il potente apporto in scena dei Laibach, gruppo musicale storico dalla Slovenia, a cui viene affidato, con felice intuizione registica, il ruolo degli ambigui Cappelli Neri, il cristiano Esercito della Salvezza nel quale milita Giovanna.