“Quando mi sono ammalato ho chiesto di avere lo stato di servizio, con l’elenco delle missioni, per supportare la diagnosi. Ho mandato almeno 10 mail, dall’ad al capo del personale. Nessuna risposta. Con alcuni prendevo il caffè ogni mattina. Ero un dirigente come loro, direttore ad interim di Raitre. Gli ho scritto messaggi sul cellulare chiamandoli per nome: ‘Ho una malattia terminale’. Mi hanno ignorato. Ripugnante, dovrebbero vergognarsi. Peraltro il palazzo di viale Mazzini è pieno d’amianto. Sottovoce, ti sconsigliano di appendere quadri al muro”. Così Franco Di Mare, 68 anni, storico giornalista del servizio pubblico, a lungo inviato di guerra nella ex Jugoslavia, si scaglia contro i dirigenti Rai, esprimendo tutto il suo sdegno per il trattamento che gli è stato riservato dopo la scoperta della sua malattia. Lo fa in una lunga intervista al Corriere della Sera, in cui annuncia, appunto, di aver contratto un mesotelioma, una forma di tumore legata all’amianto.
Lo sfogo contro la Rai
“Ora io capisco che possano esserci delle ragioni di ordine sindacale e legale. Ma io chiedevo alla Rai lo stato di servizio, che è un mio diritto, cioè chiedevo alla Rai ‘perfavore mi fate l’elenco dei posti in cui sono stato? Perché così posso provare a chiedere alle associazioni di categoria che cosa si può fare’. Sono spariti tutti“, ha poi aggiunto il giornalista intervenendo domenica sera in diretta a ‘Che Tempo che Fa‘ di Fabio Fazio sul Nove per presentare il suo libro ‘Le parole per dirlo’. “Tutta la Rai, tutti i gruppi dirigenti. Non parlo di quelli attuali, ma di quelli precedenti – ha sottolineato Di Mare – se io posso arrivare a capire che possono esistere delle ragioni legali o sindacali quello che capisco meno è l’assenza sul piano umano. Queste persone a cui parlavo dando del tu sono sparite, si sono negate al telefono come se fossi un questuante. Io davanti a un tale atteggiamento trovo un solo aggettivo: è ripugnante“.
La scoperta del tumore
Al Corriere, Di Mare ha raccontato come ha scoperto il tumore: “Ero seduto qui su questo divano, guardavo un programma scemo in tv. Una fitta terribile mi è esplosa tra le scapole, una coltellata. Credevo fosse un dolore intercostale. Invece era il collasso della pleura, uno pneumotorace. Pensai: non è niente, passerà. Ho cambiato posizione, mi sembrava di sentirla meno. Ci ho dormito su, però respiravo male. Credevo di avere il Covid, ma i test risultavano negativi. Dopo 20 giorni così, mi decisi a fare dei controlli al Policlinico Gemelli”. Lì “mi hanno sottoposto a delle prove sotto sforzo. Dopo una sono svenuto. Di corsa in sala raggi per una radiografia. Al posto del polmone destro c’era il nulla. Era collassato insieme alla pleura, la pellicola che lo avvolge. La cassa toracica per metà era vuota. Hanno provato a pompare aria per risollevarlo, non è bastato. Lo hanno riattaccato con una sorta di spillatrice. Prima però hanno fatto una biopsia del tessuto. E infine la diagnosi che non mi lascia scampo. Ero seduto davanti alla sua scrivania: ‘Houston, abbiamo un problema’, mi disse il professore. ‘Francesco, non so come dirtelo. In questo momento vorrei tanto essere l’animatore di un villaggio e non un dottore. Hai un mesotelioma. Aggressivo’. ‘Quanto?’ ‘Alto grado’. Sapevo bene cos’era. Mi sono piegato in avanti, muto, con le mani sulla testa”. E ancora: “La malattia era contenuta nella pleura, a parte due puntini in cui era perforata. E da lì, maledizione, il tumore è uscito“.
La malattia
“Mi resta poco da vivere, quanto non lo so. Però non mollo. Confido nella ricerca”, prosegue ancora Di Mare al Corriere. “La decorticazione mi ha regalato due anni di vita. Poi però, sei mesi fa, c’è stata una recidiva. Si è presentata allo stesso modo. Una fitta acutissima. Stavolta a sinistra. Respiro con un terzo della capacità polmonare”. Per questo adesso vive attaccato a un macchinario per l’ossigeno: “Fino a venti giorni fa uscivo a fare la spesa. Due passi. Al massimo tenevo con me il respiratore portatile, che pesa 15 chili. Ma dura un’ora e devi sperare che non si blocchi. Una notte è successo, me la sono vista brutta. Ora non ho più autonomia. È un diffusore di ossigeno, è lui ora il mio polmone. Prima mi aiutava soltanto di notte. Da una decina di giorni invece non posso più staccarmi. Sono legato come gli astronauti.”