L’ultima promessa porta al firma dei commissari nominati dal governo: nel primo semestre 2025 inizierà la costruzione di due forni elettrici all’ex Ilva di Taranto e saranno in funzione nel secondo semestre del 2027, con l’obiettivo di produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Nel frattempo, a sentire il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’impianto sarà nelle mani di un privato con una prima mossa – le visite in azienda delle società interessate – programmate già a maggio.
Un primo importante passo verso il mix produttivo e la cessione rapida agli acquirenti: sono queste le due direttrici che il governo intende perseguire per tentare l’ennesimo rilancio dell’acciaieria tarantina, agonizzante dopo la fallimentare esperienza con ArcelorMittal. Il non detto, come fanno notare i sindacati, è che un piano industriale con previsioni di 6 milioni di tonnellate di acciaio prodotte e l’introduzione dei forni elettrici, vorrà dire espellere dalla produzione circa 4-5mila dipendenti. Dove finora non si sono spinti i privati, insomma, potrebbe farlo lo Stato.
Le linee guida sono state illustrate il commissario di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, Giovanni Fiori, e lo stesso ministro delle Imprese e del Made in Italy ai sindacati convocati a Palazzo Chigi dopo una lettera in cui chiedevano delucidazioni sul futuro a ormai tre mesi dal divorzio da Mittal e con un impianto che marcia al minimo e, senza svolte, si avvia a un 2024 da 1,2 milioni di tonnellate di acciaio prodotte e dosi massicce di cassa integrazione.
La novità su carta più importante è quella illustrata da Fiori – alla guida dell’ex Ilva insieme a Davide Tabarelli e Gianluca Quaranta – che ha garantito l’inizio dei lavori per l’elettrificazione del ciclo produttivo nel primo semestre del 2025, tra massimo un anno insomma. Saranno costruiti due forni elettrici che andranno a sostituire gli altoforni 1 e 4 e produrranno circa 2 milioni di tonnellate di acciaio ciascuno. L’altoforno 2, attualmente in manutenzione, continuerebbe invece a marciare anche dopo la seconda metà del 2027, quando è prevista l’accensione dei due nuovi forni.
In quella data il governo dovrebbe nel frattempo aver piazzato l’azienda a un privato. Urso aveva garantito che già nel corso di questo anno ci sarebbe stata la svolta, ma difficilmente i tempi di una gara europea lo consentiranno. A breve, ha detto, ci saranno le visite a Taranto delle società che hanno manifestato interesse per il possibile acquisto del polo siderurgico. Si terranno nella seconda metà di maggio e vedranno protagoniste – stando a quanto filtrato in queste settimane – la cremonese Arvedi, gli ucraini di Metinvest, gli indiani di Vulcan Green Steel (Jindal) e di Steel Mont. Da questa quaterna dovrebbe saltare fuori il prossimo proprietario di un impianto che ArcelorMittal ha lasciato con centinaia di milioni di debiti e con ritmi produttivi ridotti all’osso.
La situazione in questi mesi, se possibile, si è fatta ancora più difficile: è in funzione solo Afo 4, con marcia ridottissima, mentre gli altoforni 1 e 2 sono fermi per manutenzione. Il governo e i commissari hanno sostenuto che creeranno le condizioni per far marciare due impianti entro fine agosto, portandoli a tre in marcia entro il 2025 e quindi facendo salire la produzione a 6 milioni, ritmi che saranno garantiti anche dai forni elettrici nel 2027. Un target complicato da raggiungere vista l’attuale situazione che, complice l’assenza di materie prime, ha obbligato i commissari a chiedere ai responsabili dei reparti di ridurre “al minimo indispensabile” il personale tra il 25 aprile e il 1° maggio, “gestendo le relative assenze mediante l’utilizzo di ferie, permessi o altri istituti applicabili”.
Come fa notare l’Usb il piano industriale “avrebbe un impatto significativo di ulteriori cassa integrati, oltre quelli già previsti” e “se poi ragioniamo sul fatto che i forni elettrici hanno un impatto occupazionale inferiore agli altiforni, è chiaro che rischiamo di escludere dal ciclo del mondo del lavoro 4mila-5mila lavoratori”. Sul punto è stata critica anche la Fiom-Cgil: “Per noi l’unico piano che vale è quello firmato nel 2018 – ha detto il segretario Michele De Palma – che prevedeva di riportare tutti gli operai al lavoro”. La stessa linea della Uilm: “Quell’accordo resta valido fino a quando non se ne sottoscrive un altro – ha detto Rocco Palombella – E non abbiamo alcuna intenzione di farlo, perché garantisce tutti i lavoratori”.
Il piano industriale sarà presentato a breve a Bruxelles per avere il via libera al prestito ponte da 320 milioni di euro, necessario per mantenere in vita l’ex Ilva. Da quando è subentrata l’amministrazione straordinaria sono stati trasferiti, lo scorso 6 aprile, appena 150 milioni nelle casse di AdI in as, come previsto dal decreto Pnrr. Un’altra iniezione, in attesa dell’ok dell’Unione Europea, dovrebbe arrivare la prossima settimana con un intervento mirato del governo – ha spiegato sempre Urso – per garantire liquidità utile alla gestione.