Tra poco più di un mese si vota ma il piatto piange: di soldi per finanziare un decreto ad hoc in vista della festa dei lavoratori non ce ne sono
Stavolta l’incontro con i sindacati è fissato per lunedì 29 aprile, per dribblare le polemiche che lo scorso anno avevano accompagnato la convocazione last minute alle 19 del giorno precedente il Primo maggio. La differenza principale però è un’altra: tra poco più di un mese si vota ma di soldi per finanziare un decreto ad hoc in vista della festa dei lavoratori non ce ne sono. Nemmeno un euro. Così se nel 2023 Giorgia Meloni aveva potuto mettere sul tavolo, accanto alla rottamazione del reddito di cittadinanza e alla riduzione dei vincoli ai contratti a termine, anche un potenziamento del taglio del cuneo fiscale, ora deve industriarsi a fare il gioco delle tre carte. Davanti ai leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl rivendicherà una misura tutt’altro che nuova: i maxi sgravi per le assunzioni già approvati lo scorso autunno, ancora non entrati in vigore perché mancava il provvedimento attuativo. Per rimpolpare il pacchetto che sarà inserito nel dl con nuove regole per la spesa dei fondi di coesione spera poi di poter annunciare il sospirato “bonus tredicesime“. Ma nonostante l’indennità sia riservata a una platea molto limitata di dipendenti a basso reddito, le coperture non sono ancora state trovate.
Spenti i riflettori sulla kermesse di Fdi, da cui ha vantato il presunto “protagonismo” dell’Italia “in Occidente e in Ue” e i buoni dati sull’occupazione, la premier deve fare i conti con l’aumento del deficit e del debito certificati dal Documento di economia e finanza, che azzerano lo spazio di manovra. Tanto più che a breve entrerà in vigore il nuovo Patto di stabilità e l’Italia dopo le Europee entrerà in procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. Finanziare le mance pre-elettorali diventa un’impresa. Così tocca “riciclare” la super deduzione del costo lavoro per chi assume a tempo indeterminato prevista nel primo modulo della riforma delle imposte sul reddito, approvato in consiglio dei ministri a ottobre 2023 insieme alla manovra e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 dicembre 2023. Si tratta, nel dettaglio, di una maggiorazione del 20% del costo deducibile da parte delle imprese, che sale al 30% se gli assunti fanno parte di categorie “svantaggiate” (giovani, donne, ex beneficiari di rdc). Le disposizioni attuative erano state rinviate a un decreto del Mef, di concerto con quello del Lavoro, da varare entro 30 giorni: la data limite è stata ampiamente sforata e il provvedimento arriva solo adesso. Giusto in tempo perché Meloni possa illustrare ai sindacati la “nuova” misura per il lavoro. Finanziata tra l’altro in gran parte a spese delle imprese, visto che è coperta con i risparmi derivanti dall’abolizione dell’Aiuto alla crescita economica (Ace), un’agevolazione fiscale che riduceva l’imponibile Ires.
I cordoni della borsa sono talmente stretti che a via XX Settembre si sta faticando per recuperare 100 milioni con cui finanziare la mancetta sulle tredicesime già ventilata lo scorso anno e ricomparsa la settimana scorsa in una delle bozze del decreto di riforma di Irpef e Ires. L’ultima versione, un’indennità “fino a 100 euro” da corrispondere (in attesa della riforma strutturale della tassazione delle tredicesime) ai lavoratori dipendenti con reddito fino a 28mila euro e con coniuge e almeno un figlio a carico, costava appunto 100 milioni, somma quasi trascurabile a fronte del bilancio dello Stato. Eppure il decreto è slittato per la necessità di approfondimenti sulle “compatibilità finanziarie”. E il lavoro non è ancora finito, come ha ammesso sabato il viceministro all’Economia con delega al fisco Maurizio Leo.
Se i fondi non si troveranno, la leader di FdI ripiegherà sul potenziale impatto positivo sull’occupazione del decreto Coesione, che riscrive le regole per gli oltre 40 miliardi di fondi europei assegnati all’Italia dalla Ue ogni sette anni. L’obiettivo è cercare di accelerarne la spesa per evitare di sprecare la dotazione assegnata alla Penisola per il periodo di programmazione 2021-2027. In quello precedente, 2014-2020, a Roma spettavano – tra soldi Ue e cofinanziamento nazionale – oltre 93 miliardi di Fondi strutturali e di investimento, ma al 31 dicembre 2023 ne erano stati spesi solo 72.
Da mettere sul tavolo non c’è molto altro, a meno che l’esecutivo non si ricordi della delega per il contrasto al lavoro povero che giace inattuata da quando è stata affossata la proposta di salario minimo delle opposizioni: la legge è passata solo alla Camera, da dicembre langue in commissione al Senato senza mai essere stata discussa. In compenso ci sarà spazio per le promesse: la replica anche nel 2025 delle misure già in vigore, dal taglio del cuneo all’Irpef a tre aliquote fino al bonus per le lavoratrici con almeno due figli. A come finanziarle si penserà più avanti. Servono poco meno di 20 miliardi.