A fine marzo, con una circolare, lo ha ammesso anche il ministero del Lavoro: “Si stanno riscontrando alcune criticità in ordine alla procedura di rilascio dell’attestazione del possesso della certificazione di svantaggio e di validazione del possesso del requisito tramite il servizio rilasciato da Inps”. In altre parole, chi ha diritto all’Assegno di inclusione (Adi) per una condizione di svantaggio che lo vede inserito in programmi di cura e assistenza, ha bisogno che il servizio sociosanitario che lo ha in carico attesti tutto all’Inps, e in caso contrario la domanda rimane bloccata e l’Assegno di inclusione, la misura di contrasto alla povertà che dal 2024 ha sostituito il Reddito di cittadinanza, non viene erogata. Una situazione in cui si trovano persone con disabilità, disturbi mentali, dipendenze, vittime di tratta, di violenza di genere e senza dimora. Accortasi dell’ennesimo pasticcio, nella stessa circolare la ministra Marina Calderone “prega di voler attivare le competenti strutture sanitarie al fine di assicurare una celere procedura di riscontro [..], tenuto conto che si tratta di nuclei familiari ad altissima fragilità”. Solo che nella fretta di una riforma che si è deciso di testare sulla pelle delle persone ci si è dimenticati della Lombardia, dove famiglie in povertà con utenti psichiatrici o persone in carico al servizio per le tossicodipendenze (SerT) sono finiti in un limbo burocratico che nega loro il sussidio al quale hanno diritto.

A differenza del resto d’Italia, infatti, in Lombardia i servizi territoriali, le Asst (Aziende socio sanitarie territoriali), non dipendono dalle Aziende sanitarie locali (Asl), che in Regione si chiamano Aziende di tutela della salute (Ats). Differenza che non è stata tenuta in considerazione dalla riforma e, a quanto pare, nemmeno dalle successive, tardive circolari ministeriali e dell’Inps. Così, mentre si attende che le solite banche dati inizino a comunicare tra loro, in particolare quella dell’Inps legata alla piattaforma dell’Adi (Siisl) e il Nuovo sistema informativo sanitario (Nsis), i servizi sociosanitari devono attestare la sussistenza della condizione di svantaggio e il relativo programma di cura e assistenza, entro sessanta giorni attraverso il servizio reso disponibile dall’Inps. Che per le Asst lombarde non funziona, così gli operatori non possono accedere alla procedura e le persone restano ad aspettare, magari rivolgendosi ai Comuni che non possono fare nulla perché operano su una piattaforma diversa e hanno già i loro problemi. “Un esempio? Tra le condizioni di svantaggio c’è la violenza di genere, ma i centri antiviolenza che hanno in carico le vittime non possono attestare nulla”, spiega al Fatto un’assistente sociale lombardo.

Con le mani legate, le Asst lombarde hanno deciso di segnalare il problema all’Inps, lo scorso 29 marzo. E ancora aspettano indicazioni. Nel frattempo, chi prendeva il Reddito di cittadinanza e adesso non prende nulla è allo sbando, tra affitti non pagati, bollette arretrate, come non bastasse la lotta quotidiana con la personale condizione di svantaggio. Le lungaggini della validazione richiesta alle Asl, così come il blocco registrato in Lombardia, sono solo l’ennesimo capitolo di una lunga serie di storture che stanno togliendo a molte famiglie l’unico strumento di sopravvivenza. L’Adi ha dimezzato i nuclei in povertà che ricevono il sussidio. La stessa previsione del governo, la platea potenziale di 737mila famiglie, a marzo vedeva appena 590mila nuclei beneficiari. Tra gli svantaggiati, come già scritto dal Fatto Quotidiano, molti senza dimora per cui la necessaria iscrizione all’anagrafe si sta rivelando un ostacolo, oltre a una maggiore difficoltà nell’accesso ai servizi in grado di certificare la condizione. Ma soprattutto, l’esclusione degli “occupabili”, cosiddetti per il solo fatto di non avere anziani, minori, disabili o fragili nel proprio nucleo, e l’abbassamento della soglia reddituale dai 9.360 euro del Reddito ai 6mila euro dell’Adi, hanno abbandonato a se stesse centinaia di migliaia di persone.

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