Black marxism – genealogia della tradizione radicale nera è un libro uscito in inglese nel 1983, pubblicato in Italia nel 2023 da Edizioni Alegre. L’autore è Cedric J. Robinson, docente universitario statunitense, punto di riferimento dei “black studies”. La traduzione del libro è di Emanuele Gianmarco, la prefazione e postfazione di Miguel Mellino.

In Italia gli studi postcoloniali non hanno suscitato l’interesse registrato in altri paesi dell’Europa occidentale, ed è forse questa anche una delle ragioni per cui la seconda repubblica si è mangiata la sinistra. Il libro reinterpreta la storia dell’Europa e degli Stati Uniti, e in definitiva del mondo non asiatico, alla luce di elementi colpevolmente dimenticati, secondo l’autore, dal pensiero marxista fino a quel momento egemone.

Robinson struttura il libro in parti diverse. Una prima parte è dedicata alla nascita e alle vicissitudini del radicalismo europeo, al cui interno colloca il marxismo e il nazionalismo. Qui appare un concetto fondamentale, che sarà pietra miliare dell’analisi sociale per la quale l’autore rimarrà famoso: il capitalismo razziale.

Per Robinson, ci sono almeno quattro momenti che dobbiamo tenere a mente nella storia del razzialismo europeo […]:
1. L’ordinamento razziale della società europea a partire dal suo periodo formativo, che si estende nelle epoche medievali e feudali sotto forma di ‘sangue’, credenze e leggende razziali.
2. La dominazione islamica (ovvero araba, persiana, turca e africana) della civiltà mediterranea e il conseguente ritardo della vita culturale e sociale europea: il Medioevo dei cosiddetti ‘secoli bui’.
3.
L’incorporamento dei popoli africani e asiatici e del ‘Nuovo mondo’ nel sistema globale emerso dal tardo feudalesimo e col capitalismo mercantile.
4. La dialettica del colonialismo, della schiavitù piantocratica e della resistenza dal sedicesimo secolo in avanti, e la formazione della manodopera industriale e della manodopera di riserva. Per convenzione si tende ormai ad iniziare l’analisi del razzismo nelle società occidentali con il terzo momento; ignorando interamente il primo e il secondo, e facendo i conti solo in parte col quarto
.

La necessità di aggiungere l’aggettivo “razziale” al sostantivo “capitalismo” è data dalla sostanziale sottovalutazione, da parte del marxismo bianco, di questi aspetti.

La seconda parte del volume è quella con l’analisi storica più consistente. L’obiettivo è dimostrare che il pensiero radicale nero ha radici, origini autonome e non dialoganti, quantomeno per secoli, con il pensiero radicale europeo. La seconda parte è propedeutica alla terza (“Radicalismo nero e teoria marxista”), in quanto la memoria della renitenza nera alla schiavitù e ad altre forme di oppressione, più in dettaglio, è stata metodicamente rimossa o distorta a beneficio di storiografie egemoni razzializzanti ed eurocentriche. La summa di tutto questo è stata la disumanizzazione dei neri.

Il lavoro di Robinson, letto a quarant’anni dalla sua pubblicazione, per un pubblico italiano oggettivamente lontano da quelle realtà e da quei dibattiti, è importante. Si destruttura la storiografia americana e occidentale. Si pone a critica la tradizione intellettuale socialista e il marxismo.

La categoria di capitalismo razziale resta utile: Il capitalismo razziale appare qui come uno sviluppo del razzialismo, ovvero come il prodotto di una costruzione culturale […] che le nazioni europee estenderanno a tutto il globo, come modello di sfruttamento, durante l’espansione coloniale, nello specifico con l’ascesa delle borghesie mercantili e dello Stato-Nazione assoluto moderno […] uno degli assunti di Black Marxism è che non vi potrà essere un capitalismo non razziale, e la questione al cuore del testo: ciò che manca nel marxismo storico […] è un’interrogazione più radicale delle origini della civiltà occidentale, così come della sua appartenenza culturale, come movimento teorico-politico, al campo della filosofia europea.

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