Preparando l’ultimo libro — Five easy pieces on water — ho letto parecchi lavori, anche recenti, sul Nilo. Le cronache sui conflitti hanno ormai preso il posto di quelle sulle sue sorgenti misteriose, che hanno sollevato per millenni una ossessiva curiosità (Figura 1). Alcuni conflitti sono già in atto, come quello sulla GERD, acronimo di Grand Ethiopian Renaissance Dam, sul Nilo Azzurro; in prospettiva, altre dispute possono avere gravi conseguenze, non solo locali.
Tra le grandi e piccole opere d’ingegneria fantastica, alcune già narrate su questo blog — da Atlatropa al Canale Ben Gurion o allo scolmatore di Nord-Est Milano — alcune ritornano a proporsi in modo ciclico, come le comete o le pandemie. Di questa categoria fa parte non soltanto il Ponte sullo Stretto di Messina, ma anche una opera d’ingegneria ben più importante, ideata più di un secolo fa. Si tratta di un canale che stravolgerebbe non soltanto il corso del Nilo Bianco, ma anche un ambiente vitale per l’equilibrio ecologico del pianeta, la vita di un numero imprecisato di persone.
Conosciamo Sir William Garstin per il progetto e l’esecuzione della prima diga di Assuan. Fu costruita alla fine del XIX secolo e terminata nel 1902, poi soppiantata dalla grande diga costruita 60 anni dopo. Ingegnere idraulico e sottosegretario ai Lavori Pubblici del protettorato “di fatto” dell’Egitto, propose nel 1904 la costruzione del Canale Jonglei. Il canale — un enorme drizzagno per un idraulico — mira a collegare Mongalla con Makalal in quello che oggi è il Sud Sudan, bypassando una intera regione: il Sudd, la più vasta area umida del pianeta (Figura 2).
Con la sconnessione del Sudd dal Nilo Bianco, l’opera promette enormi benefici, come l’espansione delle terre arabili e una migliore navigazione fluviale, un risparmio idrico sui generis e la mitigazione della pericolosità alluvionale. E, in soldoni, la costruzione del canale potrebbe teoricamente aumentare tra il 7 e il 9 percento l’afflusso al lago Nasser, chiuso dalla nuova diga di Assuan (Figura 3).
Tuttavia, il progetto crea forti preoccupazioni, sia ambientali sia sociali. Si temono la fine della pesca e l’inaridimento dei pascoli, la caduta di livello delle falde e una possibile riduzione delle piogge nella regione. I dubbi benefici del canale sarebbero divisi tra Egitto e Sudan, con il Sud Sudan che sopporterebbe il peso delle conseguenze. Secondo alcuni studiosi, il drenaggio forzato del Sudd potrebbe avere effetti ambientali negativi paragonabili al prosciugamento del lago Ciad in Africa occidentale o alla pratica scomparsa del mare di Aral in Asia centrale.
Il progetto iniziò a prendere forma soltanto mezzo secolo dopo il suo concepimento, negli anni ’50, e la costruzione iniziò assai dopo, nel 1978. La guerra civile sudanese costrinse a fermare i lavori nel 1984, quando 240 su 360 chilometri erano stati già scavati da Sarah, la ciclopica macchina da scavo costruita in Germania (Figura 4).
Riesumato di recente dal governo sud-sudanese di Salva Kiir, il progetto è osteggiato dal NAS, il National Salvation Front/Army che afferma in un documento ufficiale: “Le acque del Nilo e le zone umide del Sudd costituiscono una risorsa importante per l’esistenza e la sopravvivenza della popolazione del Sud Sudan. Per questo motivo, la manomissione della zona di Sudd costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale per la popolazione del Sud Sudan” (Figura 5).
L’impegno di vari attori internazionali, non tutti ispirati dalla dea della beneficenza, comporta ulteriori complessità. Il sostegno finanziario e l’assistenza tecnica non sono sempre disinteressati. Questo coinvolgimento comporta interessi variegati e pressioni geopolitiche da più parti. Una gestione efficace di progetti come questo richiede solidi quadri giuridici e politici. Solo con questo presupposto si possono affrontare problemi enormi come il governo transfrontaliero delle acque, la conservazione dell’ambiente, la sostenibilità ambientale e sociale, la salvaguardia dei diritti delle comunità coinvolte. La mano invisibile del mercato non può bastare per affrontare la complessità, soprattutto se finisse per trasformarsi in mano armata.