Lavoro & Precari

Creare lavoro dal nulla e darlo a chi è in difficoltà: da Nord a Sud, tre esempi virtuosi di imprenditoria sociale

In un’Italia dove chi ha avuto un passato difficile fatica sempre più a trovare lavoro attraverso i Centri per l’impiego e dove la disoccupazione giovanile ha una quota (21%) tra le più elevate in Europa c’è chi prova a “inventare” posti al Sud come al Nord. Come? Cercando di puntare sulla professionalità, sulla qualità, stringendo il più possibile sinergie con il territorio. È il mondo del Terzo Settore a muoversi vorticosamente ogni giorno come tante formiche: sono storie di associazioni nate con i volontari che hanno deciso di fare il passo nel mondo della cooperazione per provare a “stare” su un mercato che esclude sempre più chi ha perso un’occupazione magari dopo una separazione, un problema di salute, un periodo di dipendenza. Un mondo del lavoro che guarda alla disabilità ma non alla fragilità che colpisce i giovani. Nella giornata della Festa del lavoro ecco tre esperienze che hanno cambiato la vita a molte persone.

“R-accogliere” dice tutto. Basta leggere questo nome così com’è scritto per comprendere che dietro questa cooperativa sociale nata nel 2002, c’è chi apre le braccia a molte persone in difficoltà, proponendosi sul mercato del lavoro con un servizio di raccolta dei rifiuti speciali. Tutto è nato alla fine degli anni Ottanta in una Cosenza dove nel centro storico l’associazione San Pancrazio aveva deciso di dare una mano a tossicodipendenti, ex detenuti, persone con disagio psichico ma anche a bambini che avevano necessità di un dopo-scuola. “Dopo vent’anni – spiega il presidente della cooperativa, Massimo Gelli – abbiamo scelto di provare a dare una piccola risposta concreta. Siamo partiti in otto, quattro lavoratori e quattro soci volontari. Oggi siamo in diciassette e lavoriamo con più di trentacinque comuni assicurando ai nostri dipendenti una paga di circa 1.200 euro netti”. “R-accogliere” oggi è un’azienda che apre le porte a chi arriva dal carcere, a ragazzi schizofrenici, a migranti. Gelli e i suoi soci hanno puntato su un settore di “nicchia” della spazzatura: la raccolta di rifiuti sanitari, di oli vegetali esausti, di batterie o di altra strumentazione informatica.

“In alcune realtà riusciamo a fare il servizio persino gratuitamente mettendo in atto un’azione intelligente di recupero che ci permette di rivendere sul mercato il prodotto. Un esempio: l’olio vegetale esausto oggi ha un valore di trenta, trentacinque centesimi al chilo. Ottimizzando le nostre uscite, riusciamo a guadagnare circa 75 euro al giorno per due persone”. La cooperativa ce la fa grazie anche a tanti amici. Nel bilancio sociale di “R-accogliere” si citano gli “stakeholder esterni” ovvero singoli individui in qualche modo legati alla storia della cooperativa o anche solo interessati alle attività di salvaguardia ambientale ed inserimento professionale messe in campo. Nel 2023 la cooperativa ha ricevuto circa 11.800 euro da questi privati, cui si sono aggiunti 3.730 euro del “5 per mille” relativi agli anni 2021/2022.

Dal 2002 ad oggi hanno lavorato in “R-accogliere” circa ottanta persone. “Qualche errore l’abbiamo fatto con le persone più fragili perché insistiamo sul rispetto della sicurezza sul luogo di lavoro. Per noi è una fissazione ma non è facile convincere chi viene da esperienze d’illegalità. Tuttavia la gratificazione più grande è quella – spiega il presidente – di sapere che stai lavorando per dare un’opportunità agli altri”. Da qualche tempo “R-accogliere” si occupa della raccolta differenziata di un intero comune: Rovito. Una soddisfazione per Gelli che ci ricorda un limite delle amministrazioni: “Spesso fanno bandi a misura di grandi aziende, una sorta di copia e incolla che aiuta solo le grandi società che possono puntare ai ribassi”.

Dal profondo Sud al profondo Nord, nella redazione di “Scarp de Tenis”, il giornale di strada che ha come protagonisti le persone senza dimora. Stiamo parlando di cento venditori, il 70% italiani: uomini e donne tra i 50-55 anni che senza questo lavoro sarebbero in strada a chiedere la carità. A dare loro, invece, uno stipendio che arriva attorno ai cinquecento euro, è il direttore Stefano Lampertico che dal 2014 guida la scialuppa di “Scarp”. L’idea è nata nel 1994 al pubblicitario Pietro Greppi. Per il titolo della testata, aveva scelto di ispirarsi a quello della canzone “El portava i scarp del tennis” di Enzo Jannacci. Alla fine del 1995, dopo la pubblicazione di quattordici numeri, il progetto passa a Caritas Ambrosiana. All’inizio del 1996 Cooperativa Oltre – la struttura di comunicazione di Caritas – diventa editore del giornale, la cui distribuzione iniziale avviene nelle zone centrali di Milano.

Nel 2015 la rivista entra a far parte della rete internazionale dei giornali di strada (International Network of Street Papers). “Ciascun venditore – ci spiega Lampertico – regolarmente contrattualizzato, trattiene un euro dal prezzo di copertina per ogni copia di giornale venduta; l’editore si accolla inoltre gli oneri fiscali e contributivi. Ciò che avanza, oltre a coprire le spese di produzione, serve a finanziare interventi di assistenza, cura e accompagnamento sociale rivolti ai venditori, realizzati anche grazie al lavoro di rete con i servizi sociali comunali e territoriali, della Caritas o di altri soggetti del terzo settore, che hanno in carico la persona in difficoltà”. Ma non stiamo parlando del solito “giornaletto” da comprare per solidarietà e non leggere. Lampertico in questi anni ha puntato ad un mensile d’inchiesta vero e proprio coinvolgendo firme importanti del giornalismo italiano: il compianto Gianni Mura, Piero Colaprico, Giangiacomo Schiavi, Giorgio Terruzzi, Paolo Lambruschi e Bianca Stancanelli. Oggi “Scarp de Tenis” può contare sulla sua presenza non solo a Milano ma anche a Venezia, Vicenza, Verona, Napoli, Genova, Torino. “Vendiamo più di 15mila copie ogni mese e abbiamo circa mille abbonamenti”, precisa il direttore. Una vera e propria speranza ma anche un modo per mettere in relazione mondi diversi: “I nostri venditori non sono persone facili. Noi siamo una porta girevole ma senza il nostro giornale molti non avrebbero più nulla da quando è sparito il Reddito di cittadinanza”.

E poi c’è chi a Crema crea lavoro per i giovani fragili puntando su una ristorazione che vuol essere una “casa” che accoglie tutti, che propone cene al buio, fotografiche o storiche per conoscere la città. L’idea è di Davide Balestracci e di altri amici che nel 2017 accettano una sfida: riaprire la Casa del Pellegrino vicina alla meravigliosa basilica di Santa Maria della Croce. Per anni quel luogo nell’immaginario della gente è stato un posto un po’ polveroso, uno di quei bar gestiti per conto della parrocchia, senza alcune pretese. Mai così tante persone e giovani avevano varcato quella porta sul viale di Santa Maria come oggi. Nel 2021, dopo il Covid, Balestracci e gli altri si accorgono che c’è un problema: “Era ed è – ci spiega Davide – la solitudine dei più giovani”.

Si riparte con ragazzi dai 16 ai 30 anni. La scommessa è coinvolgerli trasformando quel luogo in un posto per ritrovarsi, per socializzare dando una mano. L’esperimento funziona e dal servizio di ristoro a offerta libera si passa alla ristorazione vera e propria. “Nel 2019 comincia la collaborazione – dice Balestracci – con la Comunità Sociale Cremasca, includendo due donne per un inserimento lavorativo. Iniziamo a dare un’opportunità anche a ragazzi della parrocchia con situazioni familiari delicate. Così nasce il progetto “Mai più soli” che è la scritta che accoglie chiunque entri alla “nuova” Casa del pellegrino”. Nei mesi scorsi il salto: la nascita della cooperativa “Luce” di cui Davide è il presidente ma i soci sono proprio i giovani che ci lavorano o chi sceglie di restare come volontario. Oggi chi lavora alla Casa del Pellegrino riesce a portare a casa 1.200 euro circa. “Ma dobbiamo farcela da soli. Per le persone disabili – sottolinea Balestracci – i fondi ci sono ma non esistono per i più fragili. Oggi abbiamo a che fare con un mondo giovanile che vive la sofferenza della solitudine, chiudendosi in casa, andando in crisi per un insuccesso scolastico o altro. Chi dà una risposta a queste persone?”.