di Annalisa Rosiello* e Domenico Tambasco**
Fin dall’infanzia, come insegna Maria Montessori, nulla è più produttivo del lavoro teso tutto a realizzare l’essere umano. Afferma la Montessori: “Certo che per il bambino l’attitudine al lavoro rappresenta un istinto vitale, perché senza lavoro non si può organizzare la personalità […] l’uomo si costruisce lavorando, effettuando lavori manuali in cui la mano è lo strumento della personalità, l’organo dell’intelligenza e della volontà individuale, che edifica la propria esistenza di fronte all’ambiente”.
Questi principi si ritrovano anche nella Costituzione, che parlando di “lavoro” e crescita personale prevede la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, secondo comma).
Anche per l’adulto, così come per il bambino, “l’ambiente” è molto importante. Un ambiente accogliente, stimolante, rispettoso anche delle peculiarità del singolo e il più possibile esteticamente gradevole è funzionale allo scopo del lavoro; questo infatti, oltre all’evoluzione personale, deve favorire il “progresso materiale e spirituale della società” attraverso l’opera che maggiormente si addice ai talenti e alle scelte di ognuno.
Anche l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile associa alla parola “lavoro” l’aggettivo “dignitoso” e il (già) Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon afferma che gli obiettivi 2030 “intervengono sulla necessità che tutti gli esseri umani siano in grado di vivere una vita dignitosa libera da povertà, fame e diseguaglianze, per far sì che tutti gli uomini e tutte le donne, le ragazze e i ragazzi siano in grado di sviluppare a pieno il proprio potenziale”.
Esistono ancora ambienti di lavoro totalmente estranei rispetto a queste logiche, logiche che non soddisfano solamente principi base (psicologici, etici e giuridici), ma – come ormai ampiamente studiato e dimostrato – sono anche funzionali alla produttività. Fenomeni come il super-lavoro, il demansionamento, la marginalizzazione; ambienti insalubri o insicuri, controlli esasperati, trasferimenti continui, non considerazione di bisogni personali o familiari o addirittura fenomeni di violenza o molestie nei luoghi del lavoro (e chi li favorisce/agisce) andrebbero sempre più “accompagnati alla porta”.
Se fai così non va bene, te l’ho detto fin dal primo giorno che devi fare quello che dico io! Qui comando io e si fa come dico io! “Responsabili” (si fa per dire) come questi rappresentano il male del lavoro. Adottare stili comunicativi e anche scegliere “capi” più esercitati all’empatia e all’ascolto e supportarli adeguatamente, in tutti i passaggi, dalla formazione agli aspetti organizzativi, logistici, pratici, rappresenta il primo passo, fondamentale, verso la piena evoluzione del lavoro dignitoso e sicuro e quindi della persona umana.
*Avvocata giuslavorista e curatrice di questo blog. Qui il suo cv.
** Avvocato giuslavorista, da anni si occupa di conflittualità lavorativa anche come redattore di diversi ddl in materia presentati nella scorsa legislatura. Autore di pubblicazioni sul tema della violenza e delle molestie lavorative, tra cui “Il lavoro Molesto”, 2021, scritto in collaborazione con Harald Ege.