Nella Champions dell’opulenza, dei debiti, degli illusionismi contabili e dei bancomat in comune con dittatori e terroristi, il Borussia Dortmund rappresenta un’anomalia, almeno per quanto riguarda le fasi finali della competizione. Perché se da un lato i gialloneri sono di casa nella massima competizione europea, con dodici partecipazioni negli ultimi tredici anni, dall’altro non si può certo dire che siano degli habitué delle semifinali, raggiunte nelle menzionate stagioni una sola volta, nel 2012/13, quando poi persero in finale il derby tedesco contro il Bayern Monaco. In una competizione sempre più elitaria, pensata e organizzata per rimanere tale, il Borussia Dortmund rappresenta quello che rimane della borghesia europea. L’ultimo baluardo di una politica che prova a conciliare risultati sportivi e bilanci sani. Una società “crucca”, proprio nel senso stereotipato che diamo noi italiani a questo aggettivo, perché consapevole di come il futuro le riserverà uno spazio sarà sempre più risicato al tavolo delle grandi, eppure ostinata e testarda nel proseguire con la propria filosofia, senza cedere alle tentazioni interne (un bilancio in rosso) e esterne (i capitali stranieri).
Nella Money League stilata annualmente dall’agenzia Deloitte, negli ultimi dodici anni il Borussia Dortmund si è sempre piazzato tra l’undicesimo e il tredicesimo posto. Ossia la quarta fascia, quella sotto i 500 milioni di euro di fatturato annui che include squadre come Juventus, Arsenal, Milan e Atletico Madrid. Nel 2022/23 il fatturato dei gialloneri è stato di 425 milioni di euro, il più alto di sempre – mai nella loro storia avevano nemmeno toccato quota 400. Il 51% di questa cifra è rappresentata dalle entrate commerciali, ossia i contratti con gli sponsor, il merchandising e la biglietteria. Questi 217 milioni costituiscono il pilastro sul quale è costruito il bilancio del Borussia.
Si tratta di numeri che, nella realtà tedesca, collocano il club di Dortmund in una terra di nessuno, lontana sia dal Bayern Monaco che di questi introiti ne genera il doppio, ma anche dalla prima inseguitrice, l’Eintracht Francoforte, dietro di almeno un centinaio di milioni di euro. A livello europeo, invece, tra i club della citata quarta fascia nessuno ottiene risultati simili sotto il profilo commerciale. Una delle peculiarità del Borussia è che dal 2020 divide la maglia tra due diversi sponsor: la società di telecomunicazioni 1&1, presente nelle partite di Bundesliga, e la società chimica Evonik, sulle maglie nei match europei, nella Coppa di Germania e nelle amichevoli. Si tratta di operazioni dal valore complessivo di 35 milioni di euro ciascuna. Altri 30 milioni arrivano dalla Puma e dalla compagnia assicurativa Signal Iduna, che sponsorizza il Westfalenstadion per 6 milioni annui. Come per il Bayern, anche per il Borussia gli sponsor principali – Evonik, Puma e Signal Iduna – sono azionisti del club, con quote totali pari circa al 20%. In questo modo il club raccoglie più soldi rispetto a un tradizionale contratto di sponsorizzazione.
Con una media di 81mila spettatori il Borussia è uno dei club europei con la più alta percentuale di riempimento del proprio stadio. Tuttavia, paradossalmente, i ricavi dai biglietti sono solo al quarto posto tra le entrate del club, dietro anche ai premi Uefa. Se volesse, il Borussia potrebbe riempire due Westfalenstadion, vista la lista d’attesa chilometrica per un abbonamento. Eppure, i ricavi si attestano tra i 50 e i 70 milioni, un terzo di quello che incassa il PSG, nonché abbondantemente sotto la media di 100 milioni dei club di Premier. Il motivo deriva dai prezzi dei biglietti, che il club continua a tenere mediamente bassi nonostante la grande richiesta. Un esempio: per il match di Champions contro il Newcastle il prezzo minimo era 18 euro e 50 centesimi. Insomma, tifosi non come semplici vacche da mungere, anche se ciò va a scapito del fatturato.
Un’altra criticità deriva dalla stagnazione dei diritti tv in Bundesliga. Nonostante il campionato tedesco sia terzo per incassi con 1.2 miliardi di euro, dietro ai 3.9 della Premier e ai 2 della Liga, la nuova negoziazione ha prodotto ricavi inferiori per 200 milioni complessivi. La causa principale è il Bayern Monaco e il suo dominio quasi assoluto sul campionato. Un dominio del quale viene accusato indirettamente anche lo stesso Borussia, “colpevole” di vendere i gioielli (Bellingham, Haaland, Sancho) messi in vetrina di anno in anno. Ma la società è già al limite nel rapporto tra fatturato e stipendi, questi ultimi saliti a 176 milioni di euro. Volendo tenere i conti in ordine, senza però rinunciare ad acquisti che mantengano alto il livello della rosa (Haller, Malen e Adeyemi i giocatori più costosi nella storia dei gialloneri) né finire in rosso a causa degli ammortamenti (che, va ricordato, aumentano proporzionalmente all’incremento del valore della rosa), il Borussia deve sacrificare qualche pezzo pregiato. Come nel caso della politica dei prezzi dei biglietti, si tratta di una scelta che va a scapito della competitività globale del club, a favore di chi va avanti a perdite tra gli 80 e 100 milioni di euro annui e compete tranquillamente allo stesso livello.
Non volendo cercare il fondo arabo, l’oligarca o la holding americana di turno per poter gonfiare artificialmente il proprio budget di spesa, e inserito in un sistema – quello tedesco – che cerca di limitare il più possibile i prestiti di aziende e privati stranieri destinati a generare buchi sempre più ampi nel bilancio, il Borussia deve adeguare il proprio modello di uscite alle entrate generate. Consapevole che il divario con gli altri club delle fasce più alte della Money League, Bayern incluso, sarà destinato ad aumentare sempre di più. Oggi la 13esima forza economica d’Europa è un club “formativo” che non può trattenere le sue stelle, perdendo progressivamente competitività nella lotta per la Champions. Ecco perché il Borussia Dortmund semifinalista è una (splendida) anomalia.