Anche domenica scorsa, dal palco della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha rivendicato il buon andamento del mercato del lavoro che vede gli occupati e i contratti stabili al massimo storico. Tutto vero, se non fosse che intanto gli stipendi restano al palo, aumentano i dipendenti in povertà assoluta e il governo sembra essersi dimenticato in un cassetto la delega sul contrasto al lavoro povero approvata lo scorso novembre dopo la bocciatura del salario minimo proposto dalle opposizioni. Non solo: l’altra faccia della medaglia sono i lavoratori vittime di crisi aziendali finite male e rapidamente dimenticate dalla politica. Carlo, Francesco, Ilaria, Mario, Massimo, Vittorio: Ilfattoquotidiano.it ha raccolto le loro storie. Sono in cig a zero ore, in “cassa per cessazione” o addirittura senza più ammortizzatori. Per loro il Primo Maggio è un altro giorno di rabbia. Si sentono derubati di un lavoro che era anche un’identità, presi in giro, sfiduciati. Chi è lontano dalla pensione sperava nei percorsi di riqualificazione e reinserimento al lavoro finanziati con i fondi del Pnrr. Ma anche quell’appiglio si è rivelato una beffa. Tra gli ex colleghi, raccontano, qualcuno non ha retto: si è tolto la vita.
Nella stessa situazione ci sono tanti altri: dai 200 dell’ex Gkn chiusa nel 2021 dal fondo Melrose ai 4mila rider di Uber Eats licenziati dalla multinazionale che ha deciso di abbandonare il mercato italiano. E, senza una politica industriale forte, anche i tavoli ancora aperti al ministero delle Imprese rischiano di finire nel peggiore dei modi. Lo sa bene Francesco, che lavorava alla Fiat di Termini Imerese: “Noi siamo stati l’anticamera di quello che sta accadendo ora negli altri stabilimenti”.