“C’è tanta rabbia, tanta frustrazione”, racconta Massimo, assistente di volo Alitalia in cassa integrazione a zero ore dopo 30 anni di servizio, sempre a bordo. “La comunicazione ufficiale sulla cig è arrivata via email alle 23.45 del 14 ottobre del 2022”, ricorda. Un quarto d’ora dopo Alitalia avrebbe smesso di esistere, sostituita dalla nuova Ita Airways. “Naturalmente sapevamo cosa stava accadendo, ma tempi e modi della comunicazione, specie per chi in Alitalia ha passato una vita, lasciano l’amaro in bocca”. L’agosto precedente i circa 12mila dipendenti erano stati invitati a inviare Cv e una video intervista “fai da te” alla nuova società in gestazione. Un migliaio sono stati presi, ma con condizioni molto penalizzanti: azzerati gli avanzamenti di carriera, stipendio decurtato anche del 40%. Gli addetti all’handling sono confluiti in Swiss Port, la manutenzione in Alitech; per tutti gli altri è scattata la cassa. Tanti hanno fatto causa, contestando che tra Alitalia ed Ita non esista discontinuità aziendale (che impegnerebbe Ita ad assumere gli ex Az), come invece sostiene il governo. Le pronunce sono contrastanti, le più recenti danno ragione ai dipendenti ma la società ha fatto appello e le cause procedono con lentezza. Possibile si voglia spostare tutto a dopo l’accordo con Lufthansa. “Lo Stato ci paga la Cig per non fare nulla ma paga anche lo stipendio ai nuovi assunti con cui ci hanno sostituiti, un controsenso e uno spreco per i cittadini”, spiega Massimo. Molti dei piloti si sono ricollocati, ma per farlo hanno dovuto pagarsi i corsi di aggiornamento che erano stati promessi da Alitalia. Per gli assistenti di volo è più complicato, in tanti non hanno mai ripreso a volare. “Io sono un ‘privilegiato’”, dice Massimo, “tra Cig (che finisce a ottobre 2024, ndr) e Naspi approderò alla pensione, seppur con una decurtazione importante. Per altri colleghi le prospettive sono più cupe e incerte”. E i sindacati? “Una volta usciti dal mercato del lavoro, quelli istituzionali sono spariti, ci hanno abbandonati”.

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L’analisi: “Tra 2020 e 2023 saliti dell’86% i dividendi delle big italiane quotate. Intanto i salari reali dei dipendenti calavano del 13%”

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