Vittorio Casulli è uno dei 2.548 lavoratori finiti sotto l’ombrello di Ilva in amministrazione straordinaria dall’1 novembre 2018. A breve saranno sei anni di cassa integrazione. Assunto nel 2001, era un manutentore elettrico, oggi ha 48 anni e, stando agli accordi di quella cessione, sarebbe dovuto tornare nell’acciaieria da alcuni mesi. “Il lavoro mi piaceva, avevo una stabilità economica ed emotiva. Mi godevo la famiglia”. Ma lo stipendio che ha permesso di farla crescere, oggi non c’è più: “Guadagnavo 1.600 euro al mese, più la tredicesima e la quattordicesima, oltre a un premio di risultato trimestrale che valeva intorno ai 500 euro”, ricorda. È così che ha acquistato una casa e cresciuto tre figli: “La più grande il prossimo anno finirà la scuola superiore e vorrebbe andare all’università. Come posso permettermelo con 1.100 euro di cassa integrazione? Anche perché in queste condizioni nessuna banca né finanziaria ti concede un euro”. La moglie non lavora, una mano arriva dai genitori e dai suoceri: “A 48 anni non è bello dover chiedere. Ho cercato anche un altro lavoro, ma Taranto non offre possibilità. Quelle poche opportunità che si trovano sono peggiorative”. Anche dentro l’Ilva: “Le ditte esterne applicano il contratto multiservizi. Prenderei 850 euro al mese. Un paradosso. Né posso integrare il reddito con altri lavori, non è concesso”. Quando ArcelorMittal prese in mano il siderurgico, l’accordo prevedeva il progressivo reintegro dei 2.548 lavoratori di Ilva in as al momento della cessione degli impianti, prevista nel 2023 ma mai concretizzatasi con il lento scivolare della multinazionale verso l’addio: “Abbiamo ormai capito che non rimetteremo mai più piede lì dentro. Oggi, con la seconda amministrazione straordinaria, siamo diventati i cassa integrati dei cassa integrati”. Una condizione che Casulli giudica difficile anche dal punto di vista emotivo: “Sono quasi sei anni che vivo una noiosa routine. Non lavorare ti toglie fiducia. Ho avuto problemi con il sonno, non sono mancati momenti di sbandamento – racconta – Ho quindi deciso di rimboccarmi le maniche e ho iniziato a fare concorsi, sono in graduatoria e attendo una chiamata. Un essere umano non può vivere nell’ozio”. Ad altri, spiega, è andata peggio: “Diversi colleghi hanno visto le loro famiglie sfasciate, due di loro si sono suicidati. Altri nel nostro bacino, probabilmente, si arrangiano con lavoretti in nero, disperati perché rischiano di perdere la casa per poche migliaia di euro dopo aver pagato il mutuo per vent’anni”.

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