Cultura

Paul Auster, il mondo perde il grande romanziere di una piccola America

di Adriano Tedde*

In 4321, romanzo del 2017 di Paul Auster, il protagonista è uno studente della Columbia University che partecipa all’occupazione dell’edificio della Hamilton Hall durante le proteste studentesche del 1968, proprio come fece lo scrittore, al tempo appena ventenne, arrivato nella Grande Mela dal vicino New Jersey. Allora come oggi, Hamilton Hall fu evacuata da un duro intervento della polizia newyorkese. Chissà come lo scrittore avrebbe commentato gli eventi riportati dai media il 1° maggio scorso. Sfortunatamente Paul Auster si è spento il 30 aprile, all’età di 77 anni, a causa di un tumore ai polmoni.

Con la scomparsa di Auster il mondo perde un grande romanziere. Tradotto in più di venti lingue, lo scrittore ha goduto in vita di un successo planetario, non trovando la stessa attenzione da parte del pubblico nella sua nativa America. Auster certamente descriveva un lato degli Stati Uniti poco piacevole e per questa ragione è stato spesso etichettato dalla critica europea, che lo osannava, come autore “antiamericano.” In realtà, la vasta opera di Auster è fortemente radicata nella cultura americana dei secoli XIX e XX, avendo come riferimenti principali i romanzi classici di Hawthorne e Melville, l’utopia democratica whitmaniana e la filosofia della disobbedienza civile di Henry David Thoreau. I suoi personaggi, uomini della classe media che col tempo sono invecchiati insieme all’autore, dal giovane protagonista di Moon Palace (1989) all’anziano eroe dell’ultimo romanzo, Baumgartner (2023), offrono una formidabile spiegazione dell’evoluzione della società americana degli ultimi cinquant’anni, dalla mancata rivoluzione degli anni Sessanta all’arrivo della demagogia trumpiana.

Con il successo della Trilogia di New York nella metà degli anni Ottanta, Auster fu accolto dalla critica letteraria come un moderno scrittore di gialli psicologici. I successivi romanzi rivelarono un mélange di generi, dal mistero alla commedia, fino al crimine, il noir, il picaresco, l’assurdo e il distopico. Gli stili si mescolano in una narrazione che confonde i confini tra finzione, fatti storici e autobiografia, conducendo il lettore in un labirinto di mezze verità e mezze bugie, in quella che critici e studiosi descrivono come letteratura postmodernista.

Il tema forte di tutte le sue storie è il caos dell’esistenza umana, dominata dall’imprevisto, dall’aleatorio e dalla buona o cattiva sorte. In mezzo a questo caos, amplificato dall’alienazione della vita metropolitana, si sviluppa una umanità svariata e ricca, piena di storie da raccontare. Storie spesso di sconfitta, qualche volta di vittoria, quasi sempre di penuria dovuta al rifiuto testardo degli eroi idealisti austeriani di essere fagocitati dal mercato del lavoro e dai soldi. Sullo sfondo di queste storie si intravede un paese che, nonostante il titolo di grande potenza mondiale, è fragile, diviso, impoverito e costantemente sull’orlo di un conflitto interno.

L’opera di Auster si scontra con la narrazione a tinte rosee del sogno americano che vede gli Stati Uniti come la terra delle opportunità aperte ai volenterosi. Nonostante la loro intelligenza e umanità, i personaggi di Auster non hanno alcuna chance di vedere questa promessa diventare realtà. Il mito della natura incontaminata e maestosa che offre una casa alla nuova nazione non trova alcuno spazio né nella metropoli asfissiante che domina la sua opera, né nelle rare ambientazioni rurali di alcuni suoi libri (Moon Palace, Mr Vertigo, Il Libro delle Illusioni). E infine, l’eccezionalismo americano è respinto dalla prima all’ultima pagina nell’opera di un autore che aveva visto il mondo attraverso i viaggi intrapresi da giovane aspirante scrittore, ma anche attraverso lo studio incessante della letteratura mondiale.

Auster ci insegna che l’America non è un paese diverso dagli altri. È una nazione fatta di persone reali che si scontrano con problemi reali tutti i giorni, che la mitologia della grandezza americana tende a nascondere.

Al di là dell’importanza che l’opera di Auster ricopre nel descrivere l’America al mondo, i romanzi dello scrittore newyorchese sono piccoli gioielli di vita quotidiana che inciampa negli inevitabili casi del destino e trova conforto nella compagnia di vecchi o nuovi amici con cui condividere dolori e riscoprire insieme il piacere di vivere. Tagliati fuori dalla corsa al successo e allo status sociale, i personaggi feriti di Auster, da bravi americani, non perdono mai la speranza che un domani migliore sia sempre possibile. E questa speranza anima lo spirito americano ribelle di personaggi che nel loro piccolo resistono contro la società materialista, alla ricerca di un’esistenza spiritualmente più appagante.

Invidio chi – come me – trova ancora piacere nella lettura dei romanzi e aspetta di leggere Auster per la prima volta. Quella persona ha davanti a sé un tesoro da scoprire fatto di romanzi, memorie di vita vissuta, critica letteraria, commenti politici e film. Chi volesse iniziare dalle immagini in movimento, troverà nei film Smoke e Blue in the Face (1994) un compendio di tutti i temi cari a Auster, nelle storie di vita semplice, investita dal caso e da incessanti fatalità, dei personaggi che popolano Brooklyn, il sobborgo che Auster chiamava “la Repubblica Popolare di Brooklyn,” dove lo scrittore ha vissuto dalla fine degli anni Ottanta fino allo scorso 30 aprile.

Per chi invece volesse iniziare ad esplorare Auster dalla parola stampata, Brooklyn Follies del 2005 e Baumgartner, l’ultimo sforzo scritto e pubblicato mentre lo scrittore combatteva con la malattia, sono un ottimo punto di partenza per entrare nel variopinto mondo austeriano. Per il lettore temerario, infine, il monumentale 4321 contiene tutti i temi cari a Auster in un’epica che va dall’immediato post-guerra fino alla fine delle illusioni degli anni Sessanta, che porta in sé i germi del declino odierno. Buona lettura!

*Lettore in Studi Americani, Deakin University, Canberra