“Il senso di tornare nei luoghi in cui un fatto è accaduto io lo conosco bene, perché il mio lavoro è sempre questo: cercare la vita primordiale e provare a riviverla”: sembrerebbe il biglietto da visita di un investigatore determinato a svelare la verità, o di uno scienziato immerso nello studio delle origini stesse della vita.

Sono invece le parole di Valerio Millefoglie, poliedrico artista il cui lavoro spazia tra la musica, il giornalismo di inchiesta e l’arte teatrale, candidato allo Strega con Tutti Vivi, un’opera nata dall’esperienza di quasi due anni passati a immergersi nel dolore di quattro famiglie colpite dalla perdita dei propri figli, con l’obiettivo non solo di narrare l’evento luttuoso della loro scomparsa, ma anche di celebrarne la forza con cui hanno saputo risorgere e la gioia ricevuta dal condividere questa storia dolorosa.

“Io arrivo quando tutto è finito – spiega Millefoglie – Mi accorgo che la domanda che pongo più spesso è: ‘Prima cosa c’era qui? E prima ancora?’. Riavvolgo cronologie per giungere a quando in luogo di un dato spazio vi era la preistoria. Questo è ciò che sono, un medium che non vuole predire il futuro ma il passato. Torno nei luoghi in cui un fatto è accaduto, considero le carte, le foto, il retro delle foto, cosa c’è dietro, ‘cosa c’è sotto?’ chiedo ai testimoni…”.

È la notte tra il 10 e l’11 gennaio 2022, quando la Volkswagen su cui viaggiano Elisa Bricchi, Domenico Di Canio, Costantino Merli e William Pagani, di una età compresa tra i 20 e i 23 anni, si ribalta e precipita nel fiume Trebbia, in una Piacenza avvolta nella nebbia più densa degli ultimi dieci anni.

In seguito a questa tragedia, i genitori dei ragazzi affrontano il lutto rendendo omaggio alla vita dei loro figli scomparsi: aprono un’etichetta discografica e pubblicano tre album che raccolgono tutta la musica composta e registrata dai giovani nel corso degli anni precedenti. In questo modo, scoprono che i testi delle canzoni e le melodie dei loro figli non narrano soltanto l’esperienza di una generazione, ma riflettono anche la loro stessa essenza. Le canzoni dei ragazzi diventano una sorta di testimonianza postuma delle loro vite e dei loro sogni. E Millefoglie, esperto di rap e trap, viene contattato dalle famiglie dei quattro ragazzi scomparsi per ottenere un parere sulla loro musica, per rispondere alla domanda se sarebbero stati in grado di emergere.

Valerio così si immerge nella loro musica, cercando di comprenderne il significato dietro i versi, le rime e le vuote apparenze. Scoprire come la musica possa diventare punto di incontro postumo fra genitori e figli, e come si finisce una notte fuori strada, a 20 chilometri orari, presi in consegna dalla nebbia e dalle acque. Sono lo stimolo che lo portano a intraprendere il viaggio per Piacenza e a dedicare a questa vicenda due anni della propria vita.

“Io lo faccio, me ne rendo conto, prima di tutto per un servizio privato, più che pubblico. Perché forse nelle canzoni dei ragazzi di Piacenza ci trovo un’eco delle canzoni che io ascoltavo alla loro età e in quel loro cieco ambire solo alla musica rivedo esattamente la cecità dei miei vent’anni”.

Pur pervaso dal rammarico per le quattro giovani vite spezzate, le pagine di Millefoglie sprigionano ottimismo e speranza, perché in qualche modo riesce ad allontanarsi dal fatto di cronaca, soffermandosi sull’archivio, sulle canzoni e sulla forza vitale di questa storia. “Mi sono visto da lontano e mi sono domandato perché alla loro età avessi esattamente la loro stessa fame e voglia di classifica, di andare al primo posto, di raggiungere qualcosa a tutti i costi. Fare musica, a quel punto, diventa una sorta di rivalsa necessaria per domare quella furia. Per non parlare del desiderio di essere ricordati e di lasciare un segno del nostro passaggio su questa terra”.

Viene in mente Günter Grass, secondo il quale “scrivere è come sbucciare una cipolla, ogni frase è come un velo della buccia che si va a togliere, e le cose cancellate o dubbie della nostra vita diventano, man mano che si sbuccia, leggibili e chiare”, per Valerio Millefoglie scrivere equivale a vivere. Ma anche a lottare contro l’oblio, nel desiderio di fermare, di salvare le cose e soprattutto i volti amati dall’abrasione del tempo, dalla morte. Per poi concludere: “C’è un aldilà contenuto nelle registrazioni che accumulo per lavoro, un mondo parallelo dove la parola ripetuta continua a vivere ogni volta che inserisco la schedina di memoria nel computer”. All’infinito.

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