Difficilmente negli ultimi anni la Formula 1 è stata frizzante come oggi. No, chi scrive non vive sulla Luna (il circuito del futuro, quanto meno nei sogni di Elon Musk e, forse, anche di Liberty Media), né ha voglia di scherzare. Se ci spostiamo dalla pista all’esterno, tra i box e gli uffici di comando, ogni mese esce qualcosa di nuovo, dai pillow talk dei coniugi Wolff alla faida Red Bull, da Carlos Sainz a Adrian Newey, ovvero il separato in casa e il genio della progettazione più ambito di sempre (o quasi), fino alla querelle Paul ScrivenStefano Domenicali sugli inchini alle dittature e allo sportwashing dei paesi arabi. L’ultima arriva dalla FIA e riguarda la proposta di revisione del sistema di assegnazione dei punti, che si vorrebbe estendere fino alla dodicesima posizione. Il criterio? Identico a quello attuale per i primi sette classificati (25-18-15-12-10-8-6), più diluito nelle retrovie, con distribuzione decrescente di punti (5-4-3-2-1) dall’ottavo fino appunto al 12° posto.

La domanda sorge spontanea: ha senso una revisione del genere? La risposta è negativa sotto il profilo meramente sportivo, mentre diventa positiva considerando l’aspetto economico. E quest’ultimo è ormai diventato prevaricante (non importante, perché quello lo è sempre stato) nell’era della gestione di Liberty Media, felicissima per ciò che riguarda le entrate, ma con la pericolosa tendenza a esagerare nella spettacolarizzazione a scapito delle esigenze tecnicosportive. La riforma proposta si colloca pienamente tra quelle di facciata, che cambiano i dettagli senza intaccare la sostanza. Come le qualifiche spostate quest’anno dopo la sprint race, quando il vero problema sono le sprint race stesse, spesso un inutile preambolo alla gara vera e propria dove la grande maggioranza dei piloti gioca al risparmio per non rischiare di danneggiare la monoposto.

L’ultimo cambio di punteggio è datato 2010, con l’imponente riforma che introdusse i 25 punti al vincitore al posto dei 10 precedenti, estendendo la zona punti dall’8° al 10° posto. Da lì in avanti, qualsiasi tentativo di movimentare le gare attraverso i punti si è rivelato irrilevante. Ad esempio, nel 2014 con l’assegnazione di punti doppi nella gara finale, che non ha cambiato assolutamente nulla in termini di lotta per il titolo. Oppure il punticino aggiuntivo per il giro veloce, o ancora i punti extra per la gara del sabato. Palliativi di cui non si è accorto nessuno. Ma forse qualcuno reputa che una battaglia per il 12° posto possa davvero surrogare, per la maggioranza dei tifosi, la mancanza di suspense nella lotta per una prima posizione già definita dopo qualche giro (salvo qualche imprevisto, e raro, problema tecnico).

Da un sistema meritocratico eccessivamente elitario si vuole passare a uno esageratamente annacquato. Se nel 1989, con 39 vetture iscritte e punti assegnati dalla prima alla sesta posizione, il rapporto era del 15%, con il nuovo sistema (20 auto, punti dal 1° al 12°) passerebbe al 60%. Un ibrido che funge da contentino per le scuderie di seconda fascia, ma rappresenta solo un assaggio perché, se davvero si volesse premiare la continuità in gara e la solidità delle monoposto (indiscutibile rispetto a una volta, dove i ritiri erano molto più frequenti), si opterebbe per una soluzione radicale modello IndyCar, dove tutte le auto all’arrivo vengono premiate. Come ha scritto Matt Beer su The Race, si tratta di un sistema che mette in risalto la mediocrità, “bisogna solo capire se emergerà maggiormente la mediocrità di chi non riesce a entrare nemmeno nei primi 12, oppure la celebrazione della mediocrità leggermente meno mediocre di arrivare 11esimi o 12esimi”.

Rimane tuttavia singolare come si discuta della revisione dei punteggi mentre si difende strenuamente il numero chiuso dei partecipanti, impedendo l’ingresso di altre scuderie nel Circus, salvo poi vedere una di quelle partecipanti (la Williams) non poter schierare due vetture al via di un gran premio per la mancanza (o meglio, l’inesistenza) di un telaio sostitutivo, per ragioni di budget. Con tanti saluti all’obbligo, per Liberty Media, di garantire la presenza di 20 auto in gara. Di fronte a queste storture, le perplessità nei confronti dell’opportunità di certe soluzioni non possono che aumentare. Alla fine, però, si torna sempre alla questione dei soldi. Premiare più auto al traguardo significherebbe punteggi più alti nella classifica costruttori a fine stagione, con conseguente ricaduta positiva sul reperimento di sponsor. Perché cinque piazzamenti all’11esimo posto oggi valgono 0 punti, mentre un domani ne frutterebbero 10. E quando si tirano le somme si guarda la classifica, non i piazzamenti.

Questo progressivo allargamento però rappresenterebbe un po’ anche uno schiaffo alla storia e ai personaggi della Formula 1, soprattutto quelli secondari. Nell’introduzione al suo libro “Formula 1 – Campionissimi e Grandi Record”, pubblicato lo scorso mese da Giorgio Nada Editore, l’autore Mario Donnini scrive: “Vorrei una storia delle corse più giusta che allora risarcisse e restituisse lustro a piccole grandi imprese […] quali i quattro arrivi in top ten di Piercarlo Ghinzani nel 1984 con l’Osella-Alfa Romeo, l’ottavo posto del grandissimo Gabriele Tarquini in Canada 1988 con la Coloni […] per culminare con lo stupefacente e mai premiato settimo posto di Nicola Larini su Lambo, a Phoneix 1991. Eccellenze italianissime, meravigliose, inorgoglienti e vergognosamente dimenticate, mai censite, giammai premiate […] saltate a piè pari dalla statistica che in F.1 vede, che so, in tempi recenti la Marussia censita nella nicchia degli immortali e gli altri, non solo dei nostri, condannati all’oblio eterno, pur avendo combinato molto di più, disponendo di molto meno in tasca”.

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