Nel mondo di oggi “vediamo più scontro e meno cooperazione. Più polarità e meno multilateralismo. Il sistema internazionale a cui eravamo abituati dopo la Guerra Fredda non esiste più. Nell’ultimo decennio, l’America ha perso il suo status di egemone indiscutibile. E l’ordine multilaterale post-1945 sta perdendo terreno”. Non sono le parole del presidente cinese Xi Jinping, il primo ad auspicare la nascita di un nuovo ordine mondiale multipolare. Non sono nemmeno quelle di Vladimir Putin, suo “amico”, ma soprattutto colui che, invadendo l’Ucraina, si è esposto in prima persona proprio per togliere a Washington lo scettro di grande potenza mondiale. A rilasciare queste dichiarazioni di fronte agli studenti di Oxford è invece il capo della diplomazia europea, colui che, insieme ai leader dei 27 Stati membri, detta la linea dell’Ue in politica estera: l’Alto rappresentante (Pesc) Josep Borrell.
È vero che tra circa un mese l’Europa andrà a elezioni, con anche la composizione della Commissione che verrà totalmente stravolta, ma anche per questo le posizioni espresse da Borrell, che parla sempre da mr Pesc in carica, possono essere considerate più ‘sincere’ e libere dalle attenzioni e dalle cautele che si richiedono ai diplomatici. Se così fosse, indicano però che anche tra i principali alleati storici degli Stati Uniti un cambio di equilibri nella politica internazionale è considerato già in essere e inevitabile. “La Cina – ha spiegato Borrell – è assurta allo status di superpotenza, rivaleggiando con gli Stati Uniti e l’Europa non solo nel settore manifatturiero, ma anche nella potenza militare e nella costruzione delle tecnologie che modellano il nostro futuro. E ‘l’amicizia senza limiti’ con la Russia segnala un crescente allineamento dei regimi autoritari. Allo stesso tempo, le potenze medie come l’India, il Brasile, l’Arabia Saudita, il Sudafrica o la Turchia stanno emergendo come attori importanti sulla scena globale. Hanno poche caratteristiche in comune, a parte il desiderio di uno status maggiore e di una voce più forte nel mondo, oltre a maggiori benefici a favore del proprio sviluppo. Per raggiungere questo obiettivo, stanno massimizzando la loro autonomia, bilanciando le loro scommesse e non prendendo posizione”.
Un fattore, oltre all’ascesa economica di molti dei Paesi citati, è anche la perdita di credibilità internazionale del cosiddetto blocco Occidentale. Le numerose guerre, le promesse mancate e, sottolinea Borrell, il doppiopesismo nel rapportarsi ai grandi temi internazionali hanno creato sfiducia nei Paesi che, anni fa, guardavano agli Stati Uniti e all’Europa come a modelli da seguire. Per riuscire a riunire il mondo attorno ai “valori e principi” iscritti nella Carta delle Nazioni Unite, ha spiegato Borrell, “dobbiamo dimostrare che noi europei li rispettiamo sempre e ovunque. Lo stiamo facendo? Non nella misura in cui dovremmo. E per l’Europa questo è un problema. Ovunque vada, mi trovo a confrontarmi con l’accusa di usare due pesi e due misure. La gente non ha dimenticato la guerra in Iraq, anche se alcuni importanti Stati membri dell’Ue non vi hanno partecipato. Ma alcuni hanno partecipato con molto entusiasmo e altri si sono ritirati rapidamente. Quello che sta accadendo ora a Gaza ha dato un’immagine dell’Europa che molti semplicemente non capiscono. Hanno visto la nostra risolutezza in Ucraina e si interrogano sul modo in cui tratteremo la Palestina. La percezione è che diamo più valore alla vita dei civili in Ucraina che a Gaza, dove più di 34mila persone sono morte, la maggior parte delle altre sono sfollate e i bambini muoiono di fame. E la percezione è che ci importi meno se le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite vengono violate da Israele, come accade ripetutamente quando vengono costruiti insediamenti e i palestinesi vengono costretti a lasciare le loro terre, con un livello di violenza crescente, rispetto a quando il diritto internazionale viene violato dalla Russia”.
Questo non vuol dire che si debba avere un atteggiamento meno rigoroso con Mosca. Tutt’altro. Borrell, fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, è stato tra i più fermi sostenitori della strategia della fermezza nei confronti di Vladimir Putin, ma nel suo discorso sottolinea come lo stesso pugno di ferro non sia stato usato, ad esempio, contro Netanyahu e il suo governo per il massacro che stanno conducendo a Gaza. A riprova della sua posizione ci sono le sue parole che, anche in questo suo discorso a Oxford, sottolineano come “la Russia di Vladimir Putin rappresenta una minaccia esistenziale per tutti noi. Se Putin avrà successo in Ucraina, non si fermerà qui. Questo è ora anche il pensiero del presidente francese Emmanuel Macron che inizialmente aveva avvertito che non bisognava umiliare la Russia“, ha poi aggiunto dichiarandosi implicitamente a favore delle posizioni espresse recentemente dal capo dell’Eliseo, secondo il quale non è da escludersi l’invio di truppe europee in Ucraina per combattere contro l’armata di Putin. L’atteggiamento rigido che, a suo dire, sarebbe necessario, non è possibile però a causa dell’unanimità richiesta in sede di Consiglio Ue. E a tal proposito, Borrell punta il dito contro l’Ungheria e la strategia dei veti di Viktor Orban: “Sapete quanto me che ci sono Stati membri dell’Ue che ancora non condividono questa valutazione. E, in un’Unione governata all’unanimità, le nostre politiche nei confronti della Russia sono sempre minacciate da un unico veto, come ha dimostrato Viktor Orban ritardando il nostro ultimo pacchetto di aiuti all’Ucraina. Negli Stati Uniti, invece, la polarizzazione politica ha ritardato di sei mesi il pacchetto di assistenza militare”.