Un grande Giro d’Italia, di nuovo sotto i riflettori del mondo del ciclismo, finalmente all’altezza della sua storia. È il sogno degli organizzatori, l’obiettivo con cui è stata costruita l’edizione 2024, al via sabato 4 maggio da Torino. Con una grande novità: dopo anni di defezioni illustri, che avevano fatto un po’ scivolare il Giro fuori dal ciclismo che conta, la corsa rosa tornerà ad avere ai nastri di partenza i migliori corridori al mondo. Anzi, per essere precisi, il migliore di tutti: Tadej Pogacar, già vincitore di Tour de France 2020 e 2021, tre Giri di Lombardia, Fiandre, Liegi Bastogne-Liegi, chi più ne ha più ne metta. Basterà per rilucidare la rosa un po’ sbiadita?
È forse dal 2018, l’anno dell’impresa di Chris Froome sul Colle delle Finestre, che il Giro non ospitava i top mondiali, con tutta l’attesa che ne deriva. L’organizzazione stavolta ha fatto centro, ha convinto il fenomeno Pogacar a venire in Italia per la prima volta. Per farlo, si è quasi venduta l’anima agli sponsor: il percorso è stato letteralmente cucito addosso allo sloveno, che non ama le montagne eccessive e ha comunque in mente la storica doppietta Giro-Tour che non riesce dai tempi di Pantani. Quindi: tappe più brevi, tanta crono, salite sì (gli arrivi in quota sono comunque sei) ma con moderazione. A detta di tutti gli esperti è il percorso più semplice dell’ultimo decennio, con 10mila metri di dislivello in meno complessivi e solo quattro frazioni sopra i 200km. Questo proprio per permettere allo sloveno di non spremersi troppo in vista di luglio. È anche però uno degli itinerari più imprevedibili, con tante frazioni movimentate (ci sarà pure lo sterrato in Toscana) e soprattutto non concentrate nell’ultima settimana: già alla seconda, ad esempio, si arriva al Santuario di Oropa, uno dei luoghi della memoria del Pirata.
Qualcosa del resto bisognava pur fare. Parliamoci chiaro: le ultime edizioni del giro erano state di una noia mortale. Vincitori modesti (Carapaz, Hart, Hindley), successi scontati (Bernal, Roglic). Anche quando la corsa si è risolta sul filo dei secondi, come l’anno scorso, non è successo praticamente nulla perché il maltempo ha mutilato le tappe più epiche (è successo spesso di recente) e i corridori avevano aspettato l’ultimo giorno. Giusto cambiare allora, anche forse a costo di rinunciare allo spirito del Giro, a quei tapponi e quelle salite che scolpiscono l’immaginario dei tifosi (ma forse un po’ meno la classifica).
Detto ciò, aver costruito tutta la corsa intorno a Pogacar può essere un’arma a doppio taglio. Il percorso era studiato per permettergli di essere competitivo anche a mezzo servizio, e invece lui sembra arrivarci al top della forma, dopo aver dominato la stagione primaverile. Nelle classiche ha stracciato tutti i migliori, figuriamoci quei pochi che restano al Giro. Vingegaard (l’unico che è riuscito a batterlo) e Evenepoel sono fermi per terribili incidenti, ma comunque non sarebbero venuti. Infortunato anche Van Aert, assente Roglic (che punta alla maglia gialla), Pogacar correrà praticamente senza rivali. Almeno sulla carta. Il più accreditato è il 37enne Geraint Thomas, regolarista, che però l’anno scorso non era riuscito nemmeno ad attaccare l’eterno secondo Roglic. Poi Bardet, Arensman, forse Uijtdebroeks, nuovo piccolo Evenepoel che ha fatto ottavo al debutto tra i pro all’ultima Vuelta. Con gli italiani destinati alle posizioni di rincalzo, aggrappati al vecchio Caruso o al giovane Tiberi. Lo scenario più credibile è quello di Pogacar in rosa in pantofole già dopo la prima settimana, con uno sguardo al Tour e il freno a mano tirato fino a Roma, e gli altri dietro di lui a correre per il podio, il primo posto degli umani, che però non è una vittoria. Paradossalmente, per movimentare un po’ la gara bisogna sperare che il protagonista più atteso non sia all’altezza delle aspettative. Altrimenti il Giro sarà ancora noioso.