Oltre due anni di guerra in Ucraina. Sette mesi di bombardamenti di Israele sulla Striscia di Gaza. Fibrillazioni diffuse in tutto il Medio Oriente. E tante altre guerre dimenticate, non per questo meno angoscianti e sanguinose. In un contesto internazionale a così alta tensione, che Papa Francesco efficacemente già un paio di anni fa definì Terza Guerra Mondiale a pezzi, è sempre più necessario rilanciare l’impegno per la pace, il dialogo e il disarmo.

Va in questa direzione la mia risoluzione per impegnare la Giunta e l’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna ad aderire alla Campagna “Basta favori ai mercanti di armi! Fermiamo lo svuotamento della Legge 185/90 – Miglioriamo il controllo dell’export di armi – Stop agli affari armati irresponsabili che alimentano guerre e insicurezza”. Una risoluzione che vuole unire la voce dell’Emilia-Romagna a quelle della società civile e delle organizzazioni pacifiste e per il disarmo che si sono mobilitate contro il disegno di legge del governo Meloni – già approvato a febbraio 2024 dal Senato e ora all’esame della Camera dei Deputati – che vuole annacquare la legge 185\90 che regolamenta il commercio di armi.

La legge 185/90 fu un provvedimento letteralmente storico per l’Italia, promosso da Sergio Andreis, primo firmatario, allora deputato del Gruppo Verde e già obiettore totale di coscienza al servizio militare. Quel testo, dal carattere molto innovativo, fu approvato dopo una grande mobilitazione della società civile: per la prima volta furono inseriti criteri non economici nella valutazione a monte dell’autorizzazione o meno alla vendita all’estero di armi di produzione italiana. Un approccio che è stato poi ripreso sia dalla Posizione Comune Ue sull’export di armi, sia dal Trattato ATT (Arms Trade Treaty). In particolare, la legge prevede il divieto di invio di armi verso Paesi in conflitto e in cui ci sono gravi violazioni dei diritti umani.

Sebbene nel corso degli anni non sia stata in grado di fermare tutte le esportazioni di sistemi d’arma in contesti caratterizzati da conflitti – vedi ad esempio l’export di ordigni all’Arabia Saudita da una fabbrica tedesca sita in Sardegna, ordigni che vengono usati per bombardare lo Yemen – è indubbio il grande ruolo che ha avuto per aumentare la trasparenza del settore, permettendo al Parlamento e alla società civile di conoscere i dettagli di un mercato che è per sua natura fortemente opaco.

In questi mesi molte organizzazioni della società civile italiana hanno espresso forte preoccupazione per le modalità con cui si vuole modificare la normativa, con l’evidente intenzione di indebolire il controllo sulle vendite di armi all’estero. Anche esponenti della Rete Italiana Pace e Disarmo, in rappresentanza di tante altre organizzazioni, sono intervenuti nel dibattito al Senato portando considerazioni e proposte che però sono state ignorate dal governo. Le loro preoccupazioni sono del tutto condivisibili: con meno vincoli, si faciliterebbe la vendita all’estero di armi nelle zone del mondo dove si registrano conflitti armati, aumentando così l’insicurezza globale che riguarda tutti noi.

Oltre alla piaga delle guerre, non va dimenticato che, mentre il Pianeta è alle prese con i danni causati dal surriscaldamento e dall’emergenza climatica – che dovrebbe assorbire la maggior parte delle risorse per fronteggiarla – a livello mondo siamo invece arrivati a oltre 2.000 miliardi di dollari di spese militari. In questo contesto, l’Italia è storicamente un Paese da sempre presente nella top ten delle classifiche annuali redatte dall’Istituto SIPRI di Stoccolma – lo Stockholm International Peace Research Institute – sui maggiori produttori ed esportatori di armamenti, con la partecipata pubblica Leonardo tra le imprese più attive.

Fra i Paesi destinatari delle esportazioni italiane nel 2022 (Fonte: Camera dei Deputati) la Turchia sale al primo posto con 598,2 milioni di euro di armi importate, in notevole aumento rispetto ai 41,5 milioni di euro dell’anno precedente, in cui si collocava al 17° posto. Gli Stati Uniti d’America con 532,8 milioni di euro, nonostante la diminuzione rispetto ai 762,9 milioni del 2021, si confermano al secondo posto per il terzo anno consecutivo (dietro al Qatar nel 2021, all’Egitto nel 2020). Al terzo posto si colloca la Germania con 407,2 milioni di euro (in aumento rispetto ai 262,6 milioni del 2021), il Qatar con 255,7 milioni di euro (in sensibile diminuzione rispetto agli 813,5 milioni del 2021). Si collocano, a seguire, nella fascia tra i 100 e i 200 milioni di euro, Singapore, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Kuwait, India.

La tabella seguente riporta l’elenco dei primi 25 Paesi di destinazione delle autorizzazioni individuali all’esportazione ed il loro valore complessivo nel 2022, con un raffronto della posizione relativa di ciascuno Stato con quelle ricoperte nel precedente quinquennio 2017-2021. In Europa, salgono in graduatoria Germania, Spagna e Polonia, mentre scendono Francia e Paesi Bassi. A livello globale, scende dal primo al quarto posto il Qatar e crescono significativamente Singapore (dal 21° al 5° posto), il Kuwait (dal 62° al 12°), ed entrano nei primi 25 Taiwan Messico e Nuova Zelanda.

Come capogruppo di Europa Verde nell’Assemblea legislativa Emilia-Romagna mi sono occupata più volte di pace e disarmo, arrivando a far approvare due mie risoluzioni: una invita il governo italiano ad aderire al percorso iniziato con l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, l’altra impegna la Regione Emilia-Romagna a promuovere la petizione a sostegno del “Manifesto per il Dividendo della Pace”, un fondo mondiale alimentato con il taglio del 2% delle spese militari da devolvere alla lotta alla povertà, al riscaldamento globale ed alle epidemie. Un’iniziativa promossa e sostenuta da una cinquantina di fisici, tra i quali i premi Nobel italiani Carlo Rubbia e Giorgio Parisi.

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