“Se fosse per il Comune, da giovedì saremmo in mezzo alla strada, eppure una casa ce l’abbiamo, se solo ci facessero rientrare”. Lo sfogo della famiglia Scianca arriva a sei mesi dalla frana che ha travolto i primi due piani dei civici 32, 34 e 36 di via Acquarone, a Genova. Degli 11 nuclei familiari sfollati, in attesa del risarcimento dell’assicurazione del privato che verrà ritenuto colpevole del crollo, in nove hanno trovato autonoma sistemazione a loro spese. Delle due famiglie restanti, una è quella di Gianluigi Scianca: “Siamo io, che sono malato oncologico e invalido al 100% e mia moglie priva di pensione, insieme ai nostri figli dei quali solo uno lavora. La casa è tutto quello che avevamo e non possiamo assolutamente permetterci un affitto”.
Così, dopo sei mesi di sistemazione temporanea in una camera di albergo a carico dei servizi sociali del Comune, si prospetta il rischio di finire in strada: “Solo martedì scorso ci è stato comunicato dall’assessore che il 9 maggio dovremo abbandonare la stanza e trovarci un alloggio”. L’accoglienza temporanea in albergo, a Genova, è prevista solo per situazioni di emergenza “quindi per brevi periodi”, spiegano dall’assessorato competente. “Non possiamo rientrare in casa nostra perché le diatribe giudiziarie in corso hanno impedito, fino a oggi, di spostare i detriti che si sono accumulati davanti alle nostre finestre – spiegano gli sfollati – ma di certo non riusciamo a trovare una sistemazione per una famiglia come la nostra nel giro di 9 giorni”.
La polemica con l’amministrazione comunale, in particolare rivolta all’assessore Lorenza Rosso, attualmente candidata per la Lega alle Europee, riguarda sia le garanzie di sostegno in caso di emergenze come questa previste dal Comune sia (soprattutto) le modalità con le quali è avvenuta la comunicazione: “Ci dissero che avrebbero trovato una soluzione abitativa di emergenza per il periodo necessario a rientrare nei nostri appartamenti, senza darci alcun limite di tempo – spiegano le due famiglie sfollate – a distanza di sei mesi si sono fatti vivi solo per dirci che dobbiamo lasciare la stanza”. Gli abitanti ritengono che le abitazioni siano già in condizioni di sicurezza: “Siamo autorizzati a entrarci durante il giorno e possiamo prendere le nostre cose, ma non viene concessa l’abitabilità e non possiamo sistemare gli infissi né riallacciare le utenze per tornarci a vivere”.
Da parte sua, l’assessore Lorenza Rosso, già nota alle cronache per la sventurata (e poi accantonata) proposta di sistemare dei minori stranieri non accompagnati in alcuni container alla periferia della città (su un terreno di proprietà di una sua collaboratrice), fa sapere al Fattoquotidiano.it con una nota che il Comune “come sempre nelle situazioni di emergenza che riguardano persone sgomberate per motivi di pubblica incolumità, anche su terreni privati come in questo caso, si attiva per fornire supporto ai nuclei familiari, soprattutto in condizioni di particolari fragilità”. La famiglia Scianca rischia effettivamente di finire in strada, ma questo perché non avrebbe “aderito alla proposta con supporto di trovare soluzioni alternative, come in ultimo l’offerta di un minialloggio”.
Una versione molto diversa da quella riportata dalla famiglia:” Magari ci avessero proposto un appartamento, dopo mesi in quattro a condividere una stanza di pochi metri quadrati – spiega Renato Scianca – L’unica proposta alternativa che ci hanno fatto sarebbe stata una struttura di accoglienza nel quartiere di Rivarolo, inadeguata alle necessità di cura di nostro padre. Quello che definiscono ‘minialloggio’ ci è stata presentata come una stanza in una struttura in condivisione, per la quale ci avrebbero comunque chiesto un contributo di 600 euro al mese, che non possiamo permetterci”.
Se entrambe le famiglie hanno ritenuto irricevibili le proposte che agli assistenti sociali del Comune erano sembrate adeguate, in aiuto alle famiglie si sono mobilitati vicini di casa e abitanti del quartiere di San Paolo: “Per la famiglia con bambina abbiamo trovato un appartamento grazie alla parrocchia – spiega Sergio Schintu, abitante in una delle palazzine parzialmente sfollate – mentre vista la situazione di particolare fragilità stiamo facendo fatica a trovare una soluzione per l’altra famiglia. Speriamo che possano presto tornare a casa ma non si riesce a prevedere tempi certi, di certo ci aspettavamo un sostegno più strutturato da parte del Comune ed è imbarazzante trovarci a ‘cercare per carità ciò che è dovuto per giustizia’”. Se chi si sta mobilitandosi per trovare una sistemazione non dovesse trovarla per tempo, Gianluigi Scianca non vede altre soluzioni: “Nelle mie condizioni per strada non posso starci, se non avremo alternative mi faccio accompagnare a casa e torno lì. Vediamo se hanno la faccia tosta di denunciarmi”.
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