Un ottimo articolo di Pino Arlacchi pubblicato sul Fatto Quotidiano di sabato scorso chiarisce, con dovizia di cifre e di particolari, perché la guerra in Ucraina abbia costituito l’investimento politico, militare ed economico giusto da parte degli Stati Uniti che in tal modo hanno condannato il nostro continente alla recessione economica, alla marginalità politica e alla decadenza definitiva.
Una classe dirigente di pericolosi quanto vanagloriosi peracottari si trova oggi di fronte ai segni inequivocabili del proprio disastro, ma è troppo disonesta, sia intellettualmente che in termini più generali, per ammetterlo o trarne una qualsivoglia conclusione. Piuttosto pare disposta a insistere a costo di provocare il conflitto nucleare colla Russia, tanto è violenta e irrefrenabile la libidine di servaggio che infetta i politici europei, di destra o di sinistra, pronti a immolare non tanto se stessi quanto gli sciagurati popoli che li hanno messi sullo scranno, sull’altare dello scontro militare in difesa di un’egemonia politica e militare al tramonto ovvero, più prosaicamente su quello degli interessi del complesso militare-industriale e delle altre lobby dominanti.
È questa Europa in rapido declino che si avvia alle elezioni dell’8 e 9 giugno. Il trauma di fondo che ancora non riesce a superare è quello di non costituire più il centro del mondo. L’eurocentrismo che ha afflitto il mondo per oltre cinque secoli è definitivamente tramontato. Si tratta di un fatto estremamente positivo per il pianeta, ma gli omuncoli insediati a Bruxelles e Strasburgo continuano ostinatamente a rifiutarsi di prenderne atto. Pertanto si agitano pateticamente minacciando, come Macron, improbabili interventi militari in Ucraina, ovvero vietando e reprimendo, come accade anche in Italia, le sacrosante manifestazioni in solidarietà col popolo palestinese vittima di genocidio.
Macron straparla di intervento in Ucraina suscitando i comprensibili lazzi dei russi, ma in realtà sta pensando alla fine ineluttabile del suo impero neocoloniale in Africa, mentre pensieri non dissimili albergano, mutatis mutandis, nella psiche di personaggi come Boris Johnson, principale responsabile morale delle centinaia di migliaia di vittime fatte dal conflitto ucraino, per aver vergognosamente sabotato la pace quando era concretamente possibile.
Si tratta della risposta arrogante e disperata di chi si è sentito autorizzato a dare lezioni al resto del mondo in democrazia e diritti umani e oggi governa nel nome di ristretti gruppi di potere economico, mentre assiste imperturbabile al massacro quotidiano di un intero popolo che sta avvenendo in Palestina. La verità inconfutabile è che l’Europa non è più da un pezzo la patria né della democrazia né dei diritti umani. Entrambi sono travolti dalla spinta verso la guerra. La stessa libertà d’espressione è sempre più rischio, mentre la screditata classe politica invoca la “civiltà europea” in termini in fondo non troppo dissimili da quelli utilizzati nel 1935 da Benito Mussolini per giustificare l’aggressione all’Etiopia.
In questo clima plumbeo la destra cresce. La traiettoria esemplare della signora Meloni ha dimostrato come non ci sia alcuna reale contraddizione tra il finto sovranismo della destra e i disegni revanscisti dell’imperialismo occidentale in crisi. Non è certamente casuale che un partito chiaramente erede e continuatore del Terzo Reich come Allianz für Deutschland sia oggi un fermo sostenitore del genocidio compiuto da Netanyahu e dallo Stato di Israele, alla pari del resto con quasi tutto l’establishment politico tedesco.
La “frontiera della civiltà” che questa pessima classe politica europea è disposta a difendere fino alla morte (nostra) è quella contro i barbari extraeuropei che minacciano il primato e i privilegi dell’Europa – si tratti della Russia che reclama legittime garanzie per la propria sicurezza e per i diritti delle minoranze russofone sparse nei Paesi scaturiti dalla frammentazione dell’Unione sovietica, della Cina che produce troppe auto elettriche e costituisce sempre più un modello di riferimento per i Paesi che vogliono sconfiggere la povertà o dei milioni di persone in fuga dalla miseria, dalle guerre, dal degrado ambientale e dalla morte che si accalcano alle frontiere europee annegando a decine di migliaia nel Mediterraneo.
Questa Europa è evidentemente priva di un progetto per il pianeta che non consista nella mera riproposizione di un dominio bellico per imporre il quale, fra l’altro, non ha più i mezzi materiali. È questa la situazione disperata in cui viviamo noi europei, aggrappati al benessere che fu, mentre sotto di noi si apre l’abisso.
Ma le contraddizioni di fondo di questo modello in crisi definitiva sono tali che dal seno stesso della civiltà europea è destinata ad emergere prima o poi un’alternativa di valori e prospettive che sappia saldarsi con quelle che hanno costituito le migliori manifestazioni della storia europea, dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione sovietica alla Resistenza antifascista.