di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Non può che far piacere l’esaltazione di Enrico Berlinguer che pare entrato a pieno diritto nel Pantheon dell’intero arco politico. E la cosa però mi fa anche sorridere pensando che il pensiero di Berlinguer oggi sarebbe definito, dai giornalisti e pensatori del mainstream, da Carofiglio a Giannini passando da Parenzo a Floris e con una punta agrodolce da Cacciari, populista.

Ma ancora più divertente è girare tra i dizionari per cercarne la definizione. Per il Devoto Oli si definisce populista l'”Appartenente ad un movimento politico-culturale moderno e di tendenza o d’ispirazione popolare”, mentre per Hoepli è un “Atteggiamento di chi cerca consensi tra le classi sociali meno evolute, usando a questo scopo luoghi comuni di facile presa”. Il mainstream di cui sopra preferisce l’ultima definizione, più comoda, più assolutoria e sprezzante per chi la pensa in modo diverso dal pensiero della oligarchia e così anche i dizionari e le definizioni diventano strumenti di propaganda: o tempora o mores!

E quindi tutti i temi cari a Berlinguer, la diversità del Pci, la questione morale, la difesa del popolo dei lavoratori, la lotta di classe, il welfare universale oggi sarebbero definiti populisti dai citati maitre à penser. Li immagino: “Propaganda, ma una volta al governo? Il debito pubblico eccetera”. Sarebbero definiti populisti anche molti componenti della sinistra sociale DC come Donat Cattin o Zaccagnini o, addirittura, La Pira con il suo cristianesimo sociale.

Tutte cose che si contrappongono alla visione dell’oligarchia che, secondo Treccani, è “gruppo ristretto di persone che esercita, generalmente a proprio vantaggio, un’influenza preponderante o una supremazia in istituzioni, organizzazioni ed enti economici, amministrativi e culturali”. Chi lo sa perché quando sento questo termine e la definizione che ne dà Treccani non mi riesce di non pensare a Draghi, ai governi tecnici e a tutta la stampa nazionale che ne tesse il peana e condiziona la pubblica opinione.

Fino a far credere che le misure economiche che da venti e passa anni vanno oggettivamente ad esclusivo vantaggio di un gruppo ristretto di oligarchi della industria e della carta stampata e che occupano posizioni di grande potere anche in istituzioni scolastiche, Bocconi per esempio, siano le uniche ricette economiche possibili.

Nonostante si siano rivelate fallimentari per tutto il resto della società. E, addirittura, le ultime valutazioni di Draghi sulla competitività in Europa e la sua diagnosi vedono come unica soluzione possibile l’ulteriore concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi e in pochi territori già oggi dominanti.

Forse Berlinguer si porrebbe, e porrebbe, il tema della distribuzione della ricchezza tra i produttori (capitale e lavoro) e un riequilibrio territoriale della ricchezza, dove persino le agenzie europee, invece di fare da motore per l’innovazione collocandole nelle periferie europee, vengono sempre e comunque concentrate nelle aree più ricche d’Europa che diventano così sempre più ricche.

C’è quindi il vero ‘populismo’ delle oligarchie basate sull’inganno, perché volto a far credere al popolo che nella gestione della economia ci sia un unico interesse nazionale e una unica ricetta e che non esistano più interessi contrapposti tra classi sociali, tra territori o categorie sociali.

L’affermazione del populismo dell’oligarchia rende inutile la politica, perché se c’è un unico interesse da difendere non c’è alcuna necessità di mediare tra interessi legittimi ma contrapposti, di destra e sinistra. Solo questo giustifica la costituzione di governi tecnici, tutti fallimentari, e che hanno solo acuito i divari spingendoci verso un sistema feudale. Le democrazie occidentali sono una finzione, ci sono invece le oligarchie occidentali.

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