Se vi chiedessi di immaginare un rapper, di visualizzarlo, che figura vi verrebbe in mente? Forse la maggior parte di voi penserebbe a collane e accessori vistosi, segno di uno stile di vita basato sul denaro, l’edonismo, la superficialità. E sicuramente questa ricostruzione non sarebbe sbagliata: buona parte dei rapper che ci vengono proposti dai media mainstream può essere, a torto o a ragione, inquadrata in un filone ultraconsumistico e ultracapitalistico.
Magari qualcuno di voi con un animo più romantico visualizzerebbe una figura diversa: quella del poeta rivoluzionario urbano che si oppone al sistema con le sue rime, che svela le contraddizioni della società, che oppone il suo blues di strada alla narrazione del sistema. Be, credeteci o no; sebbene sicuramente minoritaria, anche questo tipo di figura esiste ancora, in ogni latitudine. E dovunque, con caratteristiche e contenuti diversi, contribuisce a mantenere viva la lotta, la scintilla della ribellione, il dibattito all’interno di società troppo spesso stagnanti e conservatrici. Tutto ciò, spesso, non rimane senza conseguenze e senza repressione.
Su queste stesse pagine ho affrontato molto spesso il tema della libertà di parola in musica, attaccando in maniera decisa le persecuzioni giudiziarie che, ad esempio, sta subendo il rapper Pablo Hasel in Catalogna e, per fortuna in termini meno pesanti, Bakis Beks in Sardegna.
Se nella nostra Europa quindi già c’è poco da stare allegri, notizie ancora più gravi e preoccupanti arrivano dall’Iran, dove il regime integralista degli ayatollah ha addirittura condannato a morte il rapper Toomaj Salehi per il contenuto delle sue canzoni, per aver supportato il movimento progressista Donna Vita Libertà e per avere a più riprese denunciato le torture e i maltrattamenti subiti dai detenuti che si oppongono al sistema.
Incarcerato dal 2022, e inizialmente condannato a una già grottesca pena di 6 anni di reclusione per “corruzione”, Salehi ha la “colpa” di non essersi mai dissociato dalle coraggiose posizioni espresse, e quindi si trova oggi ad affrontare la spaventosa prospettiva del patibolo, nonostante le numerose attestazioni di solidarietà e richieste di clemenza da parte di artisti di tutto il mondo. In Italia, Amnesty International ha promosso un appello di cui sono firmatario anch’io e che potete sottoscrivere a questo link.
Ovviamente non si può essere ingenui e sperare che una raccolta di firme da sola possa servire a fermare la mano del boia. Ecco perché Amnesty sta preparando una serie di iniziative ancora più incisive, che avranno luogo a breve. Ecco perché, soprattutto, chiunque ha la possibilità di diffondere questa storia e questo appello dovrebbe farlo senza cadere nella rassegnazione o, peggio ancora, nel cinismo.
Non è il rapper stereotipo, carico di collane, pellicce e macchine rombanti ad essere osteggiato dal potere, di cui finisce per essere la scimmietta o l’utile idiota. La repressione colpisce chi lotta, chi alza la voce, chi non si conforma alle regole. Così come ha fatto Toomaj Salehi, così come vogliamo continuare a fare in tutto il mondo, senza temere la censura, il carcere o, addirittura, il nodo scorsoio.