Il rapporto dell'Istat su condizioni di vita e reddito delle famiglie diffuso martedì
Nel 2023, a fronte di un aumento della povertà assoluta, la quota di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale è lievemente calata al 22,8% del totale (13,4 milioni di persone) dal 24,4% dell’anno prima: come già emerso da un report di marzo, è l’effetto di misure varate dal governo Draghi come l’Assegno unico universale per i figli, i bonus una tantum per contrastare l’aumento dei costi dell’energia, il taglio delle aliquote Irpef da cinque a quattro e i primi interventi sulle detrazioni. Ma l’Istat, nel rapporto su condizioni di vita e reddito delle famiglie diffuso martedì, fornisce altri dati che non lasciano spazio all’ottimismo. Aumenta infatti dal 4,5 al 4,7% la fetta di italiani che si trova in “grave deprivazione materiale e sociale“: si tratta di 2,8 milioni di persone, concentrate nel Centro, al Sud e nelle Isole. In Calabria, in particolare, quell’indicatore schizza dall’11,8 al 20,7% e si accompagna a una forte crescita del rischio di povertà, dal 34,5 al 40,6%, e della bassa intensità di lavoro. In Puglia la grave deprivazione coinvolge il 10% della popolazione contro il 7% del 2022, in Sicilia salgono sia rischio povertà sia bassa intensità di lavoro (vedi tabella sotto).
Il rischio di povertà o esclusione sociale è misurato in maniera diversa rispetto alla povertà assoluta: si tratta della percentuale di persone che vivono in famiglie con un reddito sotto il 60% di quello mediano oppure in grave deprivazione o che lavorano per pochi mesi all’anno. Al Sud quella quota, nel 2023, è rimasta elevatissima: 39%, contro il 19,6% del Centro e il 12,2%, in media, del Nord. L’incidenza si è ridotta in particolare per gli individui che vivono in famiglie con quattro componenti e per le coppie che hanno beneficiato dell’Assegno unico universale per i figli, ma nelle famiglie numerose “aumentano gli individui in condizione di bassa intensità di lavoro”, in particolare nei nuclei con oltre cinque componenti e per le coppie con tre o più figli, “presumibilmente per una maggiore difficoltà nella conciliazione delle attività di lavoro e cura“. Tutto questo in un anno che ha visto ancora in vigore il Reddito di cittadinanza, anche se ridotto a sette mesi per i presunti “occupabili” a cui solo in alcuni casi spetta in cambio il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) da soli 350 euro al mese. L’impatto dell’abolizione, completata nel 2024, si farà sentire pesantemente considerato che quell’aiuto costituiva in media “il 17,6% del reddito complessivo delle famiglie beneficiarie”, secondo l’Istat, “arrivando sino al 39,2% tra quelle del quinto più povero”.
Riguardo all’andamento dei redditi l’analisi Istat si ferma invece al 2022, quando il reddito netto medio delle famiglie è stato “pari in media a 35.995 euro“. La crescita del 6,5% sull’anno prima non è bastata per compensare la fiammata dell’inflazione: i redditi reali sono scesi del 2,1% crollando in modo particolarmente intenso nel Nord-ovest (-4,2%) e in misura minore anche a Nord-est (-1,1%), nel Centro (-0,9%) e nel Mezzogiorno (-1,2%). Le famiglie più abbienti hanno continuato a guadagnare oltre cinque volte in più rispetto alle più povere. Da brividi il confronto con il 2007, l’anno precedente la grande crisi innescata dai mutui subprime: 15 anni dopo l’istituto di statistica calcola una contrazione complessiva corrispondente a una perdita del 7,2% in termini reali, con picchi negativi del 10,8% nel Centro e 10,2% nel Mezzogiorno. A pagare il conto sono state le famiglie la cui fonte di reddito principale è il lavoro autonomo (-13,7%) e quello dipendente (-10,6%), mentre chi vive di pensioni e trasferimenti pubblici ha goduto di un incremento del 6,3%.
Ad aggiornare i dati ci ha pensato nel frattempo l’Ocse, che proprio martedì ha diffuso le nuove rilevazioni sull’andamento dei redditi reali delle famiglie nel quarto trimestre 2023: in media è cresciuto dello 0,5% dopo un calo dello 0,2% nel terzo trimestre, ma per l’Italia si registra una diminuzione dello 0,4%. Il calo segue una crescita dell’1,4% nel terzo trimestre che era stata ampiamente festeggiata da Giorgia Meloni, nonostante la serie storica mostrasse un calo dell’indicatore rispetto al periodo precedente l’arrivo della leader di Fratelli d’Italia a Palazzo Chigi.