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Per Netanyahu il sì di Hamas all’accordo “mirava a silurare l’operazione a Rafah”. Ma una delegazione israeliana vola al Cairo

L’ok di Hamas arrivato lunedì sulla proposta di accordo “mirava” solamente “a silurare l’operazione a Rafah. Non è successo“. Parola di Benjamin Netanyahu che sottolinea come “l’ingresso a Rafah serve a due principali obiettivi di guerra: il ritorno dei nostri ostaggi e l’eliminazione di Hamas“. Il premier israeliano ribadisce che il suo Paese “non accetta una proposta che mette in pericolo la sicurezza dei nostri cittadini e il futuro del Paese”. Quella bozza è “molto lontano dalle richieste fondamentali di Israele”, assicura.

Mentre Israele continua a definire “inaccettabile” la proposta di accordo, qualche piccolo passo in avanti nelle trattative tra il partito armato palestinese e il governo di Netanyahu potrebbe arrivare. La decisione di Tel Aviv di portare i carri armati nella parte palestinese del valico di Rafah, alle porte della città, non contribuisce certo alla distensione, ma dallo ‘Stato ebraico‘ fanno comunque sapere che dei loro delegati andranno al Cairo, dove martedì sono riprese le trattative tra Hamas e i mediatori di Egitto e Qatar per cercare di arrivare a un punto d’incontro che metta fine al massacro di Gaza. Anche perché Hamas minaccia dicendo che gli incontri in Egitto sono “l’ultima possibilità” per Israele di recuperare gli ostaggi. Il premier Netanyahu ha comunque detto di aver dato istruzioni alla delegazione al Cairo di “essere ferma sulle condizioni necessarie per la liberazione dei nostri ostaggi e sui requisiti essenziali per la sicurezza di Israele”. “Restano delle distanze”, ha detto il portavoce del Consiglio della sicurezza nazionale americana John Kirby, “ma siamo ottimisti che si possa trovare un punto di incontro tra Israele e Hamas”,

Tel Aviv, stando a quanto riferisce una fonte israeliana citata dai media, tende a tenere a bada gli entusiasmi, spiegando che la trasferta nella capitale egiziana ha per il momento come unico scopo quello di fare “una valutazione sulla capacità di Hamas di cambiare le sue posizioni”. Lo ha detto una fonte israeliana citata dai media. Già ieri il gabinetto di guerra aveva definito la proposta di accordo della fazione islamica “lontana dai requisiti necessari per Israele”.

Ma adesso dall’esecutivo Netanyahu arriva anche una critica per come l’alleato statunitense sta gestendo i colloqui, dopo che è stata resa pubblica la decisione di Washington di fermare l’export di munizioni verso Israele. Altri funzionari sostengono che l’amministrazione Biden era a conoscenza dell’ultima proposta di accordo sugli ostaggi e di cessate il fuoco negoziato da Egitto e Qatar con Hamas, ma non ha informato Israele prima che il partito palestinese annunciasse di averla accettata. Un modo, sospettano, di forzare la posizione di Tel Aviv e metterla alle strette per accettare l’intesa. Un alto funzionario statunitense, però, ha negato ad Axios che questa fosse una ricostruzione veritiera dicendo che “i diplomatici americani sono stati impegnati con le controparti israeliane”.

La mossa militare d’Israele di portare i suoi carri armati alle porte di Rafah, secondo alcuni per mettere pressione su Hamas affinché accetti le condizioni dettate da Tel Aviv, non ha certo contribuito a un riavvicinamento tra le parti. “L’occupazione di Rafah conferma l’intenzione dell’occupazione israeliana di interrompere gli sforzi di mediazione per il cessate il fuoco e il rilascio dei prigionieri, nell’interesse personale di Netanyahu e del suo governo estremista – ha fatto sapere il partito armato palestinese su Telegram – Chiediamo all’amministrazione Usa e alla comunità internazionale di esercitare pressioni sull’occupazione per fermare questa escalation che minaccia la vita di centinaia di migliaia di civili sfollati a Rafah e nell’intera Striscia di Gaza”.