Lotta tra la vita e la morte, Domenico Viola, 62 anni, uno dei superstiti della strage avvenuta lunedì a Casteldaccia, nel palermitano, costata la vita a 5 operai. “Le condizioni sono gravissime per il danno multiorgano da tossicità diretta e da insufficienza polmonare con distress respiratorio”, spiegano i sanitari del Policlinico di Palermo. Viola è stato l’ultimo ad entrare tra i cunicoli e il primo ad essere preso dai vigili del fuoco e intubato dai sanitari del 118. A scampare alla tragedia sono stati Giovanni D’Aleo, 44 anni, Giuseppe Scavuzzo, 39 anni, e Paolo Sciortino, di 35. I tre sono stati sentiti dagli agenti della squadra mobile di Palermo che indagano coordinati dalla procura di Termini Imerese.

Le indagini proseguono, la procura ha aperto un fascicolo, ancora a carico di ignoti, con l’ipotesi di omicidio colposo plurimo. I corpi delle cinque vittime si trovano all’istituto di medicina legale del Policlinico. Si dovranno eseguire le autopsie sui corpi per accertare le cause della morte quasi certamente provocata dall’idrogeno solforato che hanno respirato e che si trovava in una concentrazione dieci volte superiore ai limiti in quei cunicoli.

La dinamica Sono scesi in tre nella prima “stanza” dell’impianto fognario per cercare di sbloccare la sonda di spurgo che era bloccata. Dopo ore di tentativi, all’improvviso, il tappo di liquami che impediva il lavoro della sonda è saltato e una massa di liquami e gas li ha investiti facendogli perdere i sensi. Gli operai sono precipitati nella vasca 3 metri più sotto. Sarebbe questa la dinamica dell’incidente. Si cerca di ricostruire tutto quello che è successo per accertare le responsabilità della tragedia. I vigili del fuoco i primi ad arrivare insieme ai sanitari del 118 hanno trovato i corpi delle vittime senza maschere. Una grave mancanza in operazioni delicate come quelle che stava compiendo la Quadrifoglio Group.

Quadrifoglio aveva avuto in subappalto dalla Tek, che si era aggiudicata l’appalto dall’Amap, i lavori di manutenzione della rete fognaria. L’appalto dei lavori, prevedeva che l’aspirazione dei liquami avvenisse dalla superficie attraverso un autospurgo e che il personale non scendesse sotto terra. Questo spiegherebbe perché nessuna delle vittime indossava la mascherina né aveva il gas alert, un apparecchio che misura la concentrazione dell’idrogeno solforato. Non è chiaro, dunque, perché i cinque siano scesi all’interno della stazione di sollevamento né cosa sia accaduto dopo. L’ipotesi che si sia rotto un tubo da cui poi è fuoriuscito il gas è smentita dai vigili del fuoco, mentre non si esclude che gli operai abbiano potuto aprire una paratia che sarebbe dovuta restare chiusa. L’ambiente infatti, in condizioni normali, è a tenuta stagna.

“Ho lavorato fino alle 10 nella vasca e tutto è filato liscio. Mi ha dato il cambio mio cugino Giuseppe Miraglia (una delle vittime). Poi è successo qualcosa d’imprevisto”, racconta Giovanni D’Aleo, 44 anni, operaio scampato all’incidente. Durante la mattina nel cantiere in cui si svolgeva la manutenzione della rete fognaria tutto sembrava insomma filare liscio. Gli operai avevano iniziato il lavoro alle 8 e dopo due ore si erano dati il cambio. D’Aleo sarebbe andato a rifocillarsi dopo essere stato per ore nella zona della vasca dell’impianto. “Ho capito subito che era accaduto qualcosa di grave e ho dato l’allarme”, ha aggiunto in lacrime l’operaio. Giovanni La Barbera, 26 anni il più giovane tra le cinque vittime della strage di Casteldaccia, è morto per aiutare gli altri quattro. Era l’unico a non essere a libro paga della ditta Quadrifoglio di Partinico. L’Amap aveva arruolato La Barbera come interinale da una agenzia. “Non avendo perfezionato le assunzioni dirette ci rivolgiamo alle agenzie in caso di necessità”, dice Alessandro Di Martino, amministratore unico di Amap. Ha sentito il collega urlare perché tre di loro non davano più segni di vita dopo essere scesi per depurare la vasca della fogna e si è precipitato verso la botola perché in quel momento era in superficie.

Le mobilitazioni – Questa mattina si è svolto lo sciopero generale per le prime quattro ore ad inizio turno dei lavoratori del territorio palermitano, indetto dai sindacati come prima reazione alla strage, si svolge anche un sit in davanti alla Prefettura di Palermo. Nella notte nel centro del capoluogo sono stati appesi diversi striscioni con la scritta “Basta morti sul lavoro”. Ci sono anche molti volantini sempre per dire no agli infortuni mortali. Una iniziativa della Fillea, i sindacati degli edili. Gli striscioni e i volantini sono stati lasciati sui ponteggi e i cantieri. “È paradossale che a fronte delle ripetute stragi sul lavoro si continuino a convocare solo tavoli tecnici su provvedimenti discutibili e i cui effetti si valuteranno non prima di qualche anno”. Ad affermarlo, in una nota, la segretaria confederale della Cgil Francesca Re David, spiegando come “oggi l’urgenza sia una trattativa vera alla Presidenza del Consiglio per cambiare il sistema d’impresa fondato su appalti, subappalti, precarietà, svalorizzazione e sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori”.

Davvero stonato, viste anche le circostanze in cui lo sciopero è stato proclamato, il commento di Stefano Ruvolo di Confimprenditori: “Cgil, Cisl e Uil sono dei carrozzoni obsoleti ormai fuori dalla realtà. Mentre loro continuano a indire scioperi per speculare su qualche ora di lavoro, chi davvero sta lavorando continua a morire. Per fermare queste morti, che in alcuni casi assomigliano più a degli omicidi, servono proposte e non solo proteste”.

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