L’articolo 32 della Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Mai enunciazione fu più disattesa. Sempre più cittadini rinunciano alle cure e coloro che possono sono costretti a rivolgersi al privato per poter effettuare prestazioni che, nel pubblico, non è semplice ottenere: per una visita cardiologica, infatti, il tempo medio di attesa stimato, nel Servizio Sanitario Nazionale, è di circa 400 giorni, per un’ecografia addominale 600 giorni, per una ecografia mammaria quasi 500 giorni e per una tac polmonare circa 300 giorni.
E questo nonostante i medici applichino quanto previsto dal “Piano Nazionale liste d’attesa”, inserendo sulla prestazione richiesta un codice di priorità, in base al quadro clinico del paziente, per indicarne i tempi di esecuzione che vanno dalle 72 ore a 120 giorni. Questo, in campo medico, si chiama appropriatezza: fare la cosa giusta, al momento giusto, con i tempi giusti.
Nonostante i codici di priorità, le liste d’attesa si allungano sempre più. Semplicemente il Servizio Sanitario pubblico non riesce più a rispettarli, neanche per i malati oncologici. In questi giorni, l’Usb Sanità di Cagliari denuncia che l’attesa per una visita di radiologia oncologica è lunghissima e 194 malati di cancro sono in attesa di una risonanza per poi sottoporsi ai conseguenti trattamenti medici e di radioterapia. E così un po’ in tutta Italia.
Qual è la soluzione messa in campo? Un decreto in arrivo per costringere i medici a tagliare del 20% la richiesta di esami diagnostici e strumentali. In pratica un decreto taglia prestazioni. Non riesco a garantirle? Elimino alla fonte la domanda. Ho spiegato poc’anzi cosa si intende in campo medico per appropriatezza. Invece per i burocrati, che ormai amministrano la medicina, essere appropriati significa spendere poco e stare al sotto di una media matematica.
È quanto sta succedendo ormai da un decennio per la farmaceutica: appena ti trovi al di sopra della media di spesa, le commissioni Asl di appropriatezza prescrittiva te ne chiedono conto, etichettando il medico come iperprescrittore. E peccato che l’algoritmo che decide la media non ha alcuna considerazione della situazione clinica del paziente, delle sue necessità e neanche del disorientamento dei vecchietti che smarriscono ricette e farmaci mentre tu ti rendi colpevole per aver prescritto 13 scatolette di aspirina anziché 12 in un anno.
E’ quello che tra poco accadrà anche per la diagnostica, esami di laboratorio e visite specialistiche con il decreto in arrivo. Un medico per poter mettere la firma su una ricetta ha frequentato un corso di laurea base di 6 anni, almeno 5 anni di formazione post laurea, corsi di aggiornamenti vari e formazione continua ed è tenuto al rispetto delle norme regolatorie e delle buone pratiche. Quindi penso sia più che appropriato, anzi è appropriato per definizione. La valutazione del suo operato dovrebbe essere qualitativa: come curo quella persona e non quanto spendo per curarla.
Ma poi chi giudica se un avvocato, per esempio, è appropriato piuttosto che un ingegnere o un politico? Questo trattamento viene riservato ai soli medici.
Mentre arriva la stretta sui medici e di conseguenza sui pazienti, si finanziano con soldi pubblici le farmacie, dando la possibilità ai farmacisti di valutare chi ha diritto di fare gratuitamente, a carico del SSN, un ecg, piuttosto che un holter pressorio o un holter cardiaco. Si potranno effettuare in farmacia addirittura 3 ecg, 3 holter pressori, 3 holter cardiaci all’anno per soggetto. Penso di non aver mai prescritto ad un mio singolo paziente tutti questi esami.
C’è da chiedersi quali competenze cliniche possano mettere in campo i farmacisti, rispetto ai medici a cui si chiede di essere “appropriati”. È come dire facciamo costruire i ponti agli avvocati o permettiamo agli ingegneri di arringare nelle aule di tribunale.
E, comunque, si sa che prestazioni improprie generano altre prestazioni improprie, che vanno a gravare ulteriormente sul SSN, peggiorando la situazione delle liste d’attesa a discapito dei malati che necessitano di cure e diagnosi e mettendo a rischio la salute dei cittadini. Mentre togliamo la possibilità di prescrivere esami a chi ha le competenze per farlo, la diamo a chi queste competenze non ce l’ha perché non è medico. In quale altro paese al mondo ciò è possibile? Da un lato si opera una stretta con tagli alle prestazioni, dall’altra assistiamo allo sperpero di denaro pubblico.
Non contestiamo certo la scelta di un cittadino a fare un esame diagnostico dove vuole: in ospedale, in un centro convenzionato, in farmacia o anche al supermercato; ma se quell’esame è realmente necessario e viene messo a carico al SSN, e quindi alla fiscalità generale, deve essere prescritto da chi ha le competenze per farlo.
La verità è che dopo 10 anni di tagli alla sanità, circa 37 miliardi, che si sono tradotti in 100 ospedali in meno, decine di migliaia di medici e infermieri in meno ,con il rapporto Pil/ spesa sanitaria più basso di sempre e con il numero di posti letto ospedaliero sempre più ridotto rispetto agli altri paesi d’Europa, il Servizio Sanitario pubblico non riesce più a reggere.La risposta non è certo regalare soldi alle farmacie , ne acquistare prestazioni da privati con risorse destinati al Servizio Pubblico.