I lettori di questo blog avranno notato che, nel parlare del teatro (di oggi o di ieri), finisco quasi sempre per fare riferimento a dei libri, anche se non in forma di recensione. Può sembrare un fatto scontato ma non lo è. Se dovessi dare un nome a questa rubrica la chiamerei “cultura teatrale”. Che, per dirla in maniera spiccia, consiste nel rapporto fra il libro e la scena, fra la teoria e la pratica, o più esattamente, evocando una celebre proposta di Ferdinando Taviani, fra gli “uomini di libro” e gli “uomini di scena”.

Questo rapporto è sempre esistito in qualche modo, anche al di là della letteratura drammatica. Per limitarsi al Novecento, è impossibile ignorare l’impresa, unica al mondo, dell’Enciclopedia dello spettacolo, in nove volumi più uno di aggiornamenti (1954-1968), fondata dal grande critico Silvio D’Amico. E poi vanno ricordati almeno studiosi come Mario Apollonio, Carlo Ludovico Ragghianti, Giovanni Macchia e Gerardo Guerrieri in veste di pionieri degli studi teatrali.

Tuttavia, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, in Italia accade qualcosa di nuovo, per le dimensioni del fenomeno e per i suoi esiti. Una generazione di giovani studiosi, che con le loro ricerche (spazianti fra il Rinascimento e il XX secolo) stavano rifondando la storia del teatro su rinnovate basi metodologiche, incontra il nuovo teatro: Julian Beck e Judith Malina del Living Theatre, Jerzy Grotowski e il Teatr Laboratorium, Eugenio Barba e l’Odin Teatret, Peter Brook, per limitarmi ai più importanti. In particolare con Grotowski e, soprattutto, con Barba si intrecciano veri e propri rapporti di scambio e collaborazione. Intanto a Bologna nasce il Dams (1970) e, nove anni dopo, Barba fonda l’Ista, International School of Theatre Anthropology, assieme ad alcuni di questi ricercatori.

Nello stesso periodo si afferma, come mai in precedenza, una vera e propria editoria teatrale, con collane dedicate dei grandi editori (da Einaudi a Laterza, al Mulino) e nuove sigle specializzate: La casa Usher, Ubulibri, più tardi Titivillus e Editoria & Spettacolo, fino a Cue Press. Con le benemerite Edizioni Bulzoni a fare da apripista già negli anni Sessanta. Non a caso, è presso Bulzoni che nasce, all’inizio del decennio successivo, la rivista “Biblioteca Teatrale”, seguita da “Scena”, di taglio decisamente più militante, “Quaderni di Teatro” e “Rivista Italiana di Drammaturgia”. Negli anni Ottanta sarà la volta de “Il Castello di Elsinore” e “Teatro e Storia”, seguite da “Drammaturgia” e “Culture Teatrali” negli anni Novanta.

E’ difficile, per chi non c’era, farsi un’idea di cosa sia stata la cultura teatrale negli anni Settanta e ancora nel decennio successivo: un fermento incredibile, polemiche furibonde e discussioni a non finire, decine di studi innovativi che trovavano un vasto pubblico di lettori-spettatori appassionati inimmaginabile oggi, saggi di teatro che si vendevano a migliaia di copie, quando oggi se ne stampano solo alcune centinaia nei casi migliori.

E tuttavia, anche se l’età d’oro è passata, quello che accadde allora ha segnato per sempre il mondo del teatro, almeno nel nostro Paese, stabilendo un legame solido fra libro e scena, teoria e pratica, che continua nonostante tutto a dare i suoi frutti, anche in un contesto decisamente meno favorevole come l’attuale.

Queste riflessioni sono state ispirate da un libro appena uscito. Si tratta della pubblicazione di una dispensa universitaria, inedita fino ad oggi, approntata da quattro esponenti di primissimo piano della nuova teatrologia, nel 1987, per gli iscritti al Dottorato in Discipline dello Spettacolo dell’Università di Bologna, il primo a essere varato in Italia, nel 1982. Gli studiosi erano Fabrizio Cruciani (1941-1992), Claudio Meldolesi (1942-2009), Franco Ruffini (1939) e Ferdinando Taviani (1942-2020), che si occupano di “pensare”, rispettivamente, lo spazio, l’attore, il testo drammatico e lo spettacolo. L’attento e partecipe curatore è Roberto Cuppone (autore e attore oltre che ricercatore e docente), il quale ricorda di aver ricevuto la dispensa nel momento in cui iniziò a frequentare quel dottorato nel 1991 (Pensare il teatro, a cura di Roberto Cuppone, Titivillus, 2024).

Si tratta di un documento prezioso: “un pugno di cenere che nasconde diamanti”, come scrive Eugenio Barba nella lettera prefatoria.

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