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Hamas accusa Netanyahu: “Tornati al punto di partenza”. Per Israele la guerra durerà un altro anno. Dagli Usa stop all’invio di armi a Tel Aviv

I negoziati al Cairo si complicano. Hamas minaccia di interrompere i colloqui accusando Benjamin Netanyahu di riportare “tutto al punto di partenza” nel tentativo di “guadagnare tempo”. La delegazione palestinese resta nella capitale egiziana, dove sono arrivati anche i rappresentati di Tel Aviv, ma come riferisce la tv del Qatar Al-Arabi, citando una fonte di Hamas, “il movimento studierà la sua posizione dopo questo ciclo di negoziati e le cose non saranno più come prima dell’invasione di Rafah“. E mentre l’esercito israeliano cambia idea (“Hamas non sparirà con l’operazione a Rafah”) annunciando un piano di guerra lungo un anno, il partito armato palestinese ricorda alle famiglie degli ostaggi israeliani “che l’attuale ciclo di negoziati potrebbe essere l’ultima opportunità per riavere i loro figli“.

TROVATA UN’ALTRA FOSSA COMUNE – In contemporanea alle novità sul fronte dei negoziati, Hamas ha anche annunciato che squadre mediche hanno trovato una terza fossa comune all’interno dell’ospedale al-Shifa di Gaza City con 49 corpi finora recuperati. Lo riferisce il sito Haaretz che ricorda che si tratta della settima fossa comune trovata dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza. Nelle scorse settimane a Khan Younis erano state scoperti oltre 300 cadaveri, denudati e con le mani legate dietro la schiena, seppelliti nell’area dell’ospedale Nasser. Già in quell’occasione le Nazioni Unite hanno invocato una “inchiesta credibile e indipendente”.

USA BLOCCANO INVIO BOMBE A ISRAELE – Intanto gli Stati Uniti hanno bloccato la consegna di un carico di bombe per Israele a causa delle “preoccupazioni” di Washington sull’offensiva a Rafah. Dopo le indiscrezioni è arrivata la conferma ufficiale. Gli Usa stanno “attualmente rivalutando alcune spedizioni di assistenza di sicurezza a breve termine” a Tel Aviv, ha dichiarato il segretario alla Difesa Lloyd Austin in un’audizione Commissione per gli stanziamenti del Senato sul bilancio del Pentagono per l’anno fiscale 2025. “Continueremo a fare ciò che è necessario per garantire che Israele abbia i mezzi per difendersi. Detto questo, stiamo attualmente rivalutando alcune spedizioni di armi a breve termine nel contesto degli eventi in corso a Rafah“, ha dichiarato il capo del Pentagono. Niente rapporto, invece, sulle violazioni di Israele nella guerra a Gaza. Il dipartimento di Stato Usa avrebbe dovuto presentarlo al Congresso oggi ma “non è pronto”. Lo ha detto il portavoce, Matthew Miller, in un briefing con la stampa senza specificare quando sarà ultimato. “Sarà disponibile nei prossimi giorni ma è la prima volta che il dipartimento di Stato si occupa di una cosa del genere e vogliamo essere molto attenti”, ha sottolineato. “Si tratta di un breve ritardo”, ha aggiunto.

“PIANO DI GUERRA LUNGO UN ANNO” – Tutto questo accade nel giorno delle dichiarazioni del portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, che ha parlato al quotidiano Yedioth Ahronot, stravolgendo la lettura del conflitto data fino a oggi dai vertici del governo Netanyahu: sconfiggere Hamas non sarà così immediato e non si risolverà con la tanto contestata operazione militare a Rafah e il conflitto andrà avanti per almeno un altro anno, almeno questo è il piano di guerra dell’esercito. Se dall’esecutivo è sempre stato dichiarato che qualsiasi tentennamento, qualsiasi tregua, qualsiasi dubbio su attacchi di terra nelle città della Striscia avrebbe favorito il partito armato palestinese, impedendone la cancellazione dalla faccia della terra, Hagari tratteggia una situazione ben diversa, e forse più realistica, nella quale la formazione islamista continuerà a esistere indipendentemente dai massacri in corso nell’enclave palestinese.

IL PUNTO DELL’ESERCITO – “Non inganneremo l’opinione pubblica – ha dichiarato – Anche dopo che ci saremo presi cura di Rafah ci sarà il terrorismo. Hamas si sposterà a nord e si riorganizzerà”. E ha aggiunto che l’Idf ha “presentato un piano al governo per combattimenti a Gaza che dovrebbero durare un anno. Gaza è forse uno dei teatri più difficili al mondo, sovraffollata e piena di tunnel. Andiamo incontro ad anni difficili e dovremo spiegarlo sia all’interno sia all’esterno”. Le sue parole, però, sconfessano quelle dell’esecutivo che con la necessità di una guerra immediata e il più possibile intensa ha giustificato le sue azioni militari nella Striscia, affermando che fossero il mezzo necessario per “sradicare Hamas” e cancellarla per sempre. Oggi, con questa campagna che volgerebbe al termine, stando alle promesse iniziali, con l’offensiva su Rafah, ecco che dai militari arrivano indicazioni ben diverse che, tra l’altro, contribuirebbero ad allungare la vita di un governo a tempo determinato e vincolato alla durata del conflitto in corso.

Ad allontanare l’ipotesi di un tavolo di pace tra le parti arrivano anche le dichiarazioni del ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz. Non una novità, ma un modo per ricordare che la linea diplomatica di Netanyahu non è in discussione: “Riconoscere uno Stato palestinese dopo il 7 ottobre significa premiare Hamas che ha ucciso oltre mille israeliani. Significa dare un premio al regime iraniano. Significa vivere con la possibilità di un altro 7 ottobre”. Secondo Katz, l’unica maniera per “promuovere la pace sono negoziati diretti nell’ambito di un processo di normalizzazione regionale“.

GLI SVILUPPI SUL CAMPO – Così, l’operazione militare va avanti, con i carri armati delle Forze di Sicurezza Israeliane (Idf) che da martedì si trovano alle porte di Rafah, pronti a entrare nell’ultima città all’estremo sud della Striscia. Da tutta la mattinata di mercoledì, riferiscono sia fonti israeliane che di Hamas, sono in corso violenti combattimenti con i miliziani della formazione che governa la Striscia, con Tel Aviv che afferma di aver ucciso diversi uomini armati e aver localizzato altri tunnel.

Nonostante l’impegno dei miliziani per la difesa della città, Israele teme che una parte di questi possa essere utilizzata per sferrare altri attacchi sul suolo dello ‘Stato ebraico‘. Così, con la tensione che sta crescendo, hanno imposto che i lavori agricoli vicino alla barriera di sicurezza con Gaza non debbano essere effettuati mercoledì per “una valutazione di sicurezza. Le attività all’esterno nelle comunità vicino la Striscia da 0 a 4 chilometri dal confine dovranno avere un permesso dalla Brigata regionale”.

IL VALICO DI KEREM SHALOM – Una notizia positiva sembrava essere quella della riapertura del valico di Kerem Shalom che collega la Striscia a Israele. La chiusura di Rafah, per il blocco imposto dai tank di Tel Aviv, e del passaggio di Erez, oltre a quella di Kerem Shalom, avevano sollevato i timori della comunità internazionale per l’isolamento della Striscia e l’impossibilità di trasferire aiuti alla popolazione civile. “Camion dall’Egitto con aiuti umanitari donati dalla Comunità internazionale – ha fatto sapere il Cogat, il Centro di coordinamento delle attività israeliane nei Territori – stanno già arrivando al valico. Dopo le ispezioni di sicurezza saranno trasferiti nel lato di Gaza del valico”. Poche ore dopo, però, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi Unrwa ha affermato in una nota che, contrariamente a quanto annunciato in mattinata da Israele, entrambi i valichi verso la Striscia di Gaza di Kerem Shalom e Rafah restano chiusi e ne sollecita “l’immediata riapertura“.