Anche la Commissione europea fa proprie le stime della Banca d’Italia sull’impatto negativo dell’abolizione del reddito di cittadinanza su povertà assoluta e povertà infantile. In un documento di lavoro dello staff della Commissione sulla convergenza sociale si legge infatti che la sostituzione del sussidio universale con l’Assegno di inclusione, i cui criteri di accesso non sono basati sulla prova dei mezzi ma solo sulla presenza in famiglia di over 60, minori o disabili, “riduce in maniera significativa la copertura dello schema di reddito minimo”. Vengono poi citate le simulazioni di via Nazionale che lo scorso dicembre la ministra del Lavoro Marina Calderone aveva accolto dicendosi “non convinta” della bontà dell’analisi. Bruxelles al contrario la ritiene solida e la cita per affermare che la riforma del governo Meloni “ridurrà le famiglie beneficiarie del 40% tra quelle formate da cittadini italiani e del 66% tra quelle con altra nazionalità”. Avendo come effetto finale “una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile rispettivamente di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali rispetto al regime precedente”.
La Cgil coglie l’occasione per chiedere a Calderone di “ripensare e rivedere completamente” le sue politiche. Ma la ministra non si smuove dalle sue posizioni: fonti del dicastero ribattono che la Ue “si basa su uno studio di natura statica e parziale, nel senso che non tiene conto delle dinamiche di attivazione generate dalle nuove misure e dalla crescita dell’occupazione in Italia”. Cosa che, peraltro, è specificata nella nota che cita lo studio di Bankitalia, in cui si aggiunge anche che quel paper non teneva conto dell’introduzione del Supporto per la formazione e il lavoro da 350 euro al mese (solo per un anno, non rinnovabili) per gli occupabili. Misura di cui Bruxelles apprezza il fatto che sia cumulabile con il reddito da lavoro e accessibile anche a chi risiede in Italia da solo 5 anni.
Nel report – pubblicato insieme alle analisi per Bulgaria, Estonia, Spagna, Lituania, Ungheria e Romania – l’esecutivo Ue osserva poi che “nonostante i progressi compiuti, in particolare per quanto riguarda l’occupazione“, servono “ulteriori sforzi” per “portare l’Italia ad affrontare pienamente le sfide che si trova ad affrontare in relazione al mercato del lavoro, alla protezione sociale e all’inclusione, nonché all’istruzione e alle competenze”. Mentre il governo continua a vantare i buoni risultati del mercato del lavoro, la Commissione fa notare che “la percentuale di contratti a tempo determinato rimane tra le più alte nell’Ue”, un elemento che – combinato “all’elevata incidenza di forme di lavoro non standard (compreso il lavoro stagionale) – ha portato a “una diminuzione del numero di settimane lavorate all’anno e contribuisce a un’elevata disuguaglianza e volatilità dei guadagni annuali“.
“Le riforme recentemente intraprese non sono ancora sufficienti per affrontare il problema dell’elevata percentuale di contratti a tempo determinato”, sottolinea ancora Bruxelles. Il decreto Lavoro del maggio 2023 ha anzi “riaffermato la possibilità per i datori di lavoro di avvalersi di contratti a tempo determinato con durata inferiore ai 12 mesi senza necessità di giustificazioni e ha esteso i termini durata massima dei contratti a tempo determinato a 24 mesi”. Inoltre “non affronta il problema dell’elevata quota di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico”.
Poi c’è l’emergenza dei salari, “strutturalmente bassi” e sempre più lontani dalla media Ue: “Tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%, metà della crescita a livello dell’Ue (23%)”, nota l’esecutivo comunitario, evidenziando che “mentre il potere d’acquisto nell’Ue è aumentato del 2,5%, in Italia si è ridotto del 2%“. “La stagnazione salariale, la bassa intensità di lavoro e i bassi tassi di occupazione, insieme a un’elevata percentuale di famiglie monoreddito, comportano significativi rischi di povertà lavorativa“, si legge. Nel 2022, il rischio di povertà per gli occupati in Italia era “tra i più alti nella Ue, 11,5% contro 8,5%”. E raggiungeva un picco del 28% tra i cittadini extra Ue, contro una media europea per quella platea del 24,3%. Tra i lavoratori part time, poi, “il 19,9% era a rischio povertà, contro il 13,5% nella Ue, e tra i dipendenti a tempo determinato le quote sono del 16,2% e 12,2% rispettivamente”. In questo quadro il taglio del cuneo fiscale – finanziato solo fino a fine 2024 – viene giudicato positivamente ma sottolineando che resta elevato rispetto alla media Ue.