di Michele Sanfilippo

Sono ormai passati circa cinquant’anni da quando i paesi occidentali hanno adottato politiche economiche neoliberiste. In estrema sintesi, questo pensiero economico, elaborato nella scuola di Chicago, nei primi anni 70, sostiene che i mercati siano in grado di soddisfare ogni necessità della società se svincolati dal fardello delle tasse. In questa prospettiva, quindi, è necessario un passo indietro delle politiche di welfare dei governi perché meno tasse daranno luogo a maggiori investimenti, da parte delle imprese, che, a loro volta, genereranno nuovi posti di lavoro e più benessere nella società.

In origine l’impulso politico per l’adozione delle politiche economiche neoliberiste è stato dato dai leader conservatori anglosassoni di Thatcher e di Reagan ma, non molto tempo dopo, anche Clinton e Blair, i campioni del labour, seppur con accenti meno marcati, le hanno sposate senza troppe remore. La caduta del muro di Berlino ha, infine, convinto tutti i leader della sinistra europea a muoversi sulla medesima strada dei loro omologhi anglosassoni.

E se, inizialmente, sono stati registrati risultati economici abbastanza lusinghieri, dopo cinquant’anni si possono osservare gli effetti devastanti provocati dal credo degli adoratori del libero mercato.

Il primo, fin da subito il più evidente, è l’allargamento del divario economico tra moltissimi che hanno sempre meno e pochissimi che hanno sempre di più. Se l’amministratore delegato della Fiat, negli anni 70 guadagnava 10 volte lo stipendio di un dipendente, oggi l’amministratore di Stellantis in un anno ha guadagnato oltre 30 milioni di euro. Lascio a voi il calcolo della differenza.

Ma nel medio periodo abbiamo potuto osservare ben altri problemi. Il depotenziamento del welfare ha impoverito la scuola pubblica, che è il vero motore per l’ascensore sociale, facendo sì che un numero sempre maggiore di giovani sia stato relegato in posizioni precarie e marginali. Lo sfacelo della sanità è sotto gli occhi di tutti ma, forse, il problema più eclatante è quello ambientale. Il libero mercato professa una fede incrollabile nella crescita infinita.

Il nostro pianeta, che evidentemente non ha studiato economia a Chicago, purtroppo, non dispone di risorse infinite per sostenere una crescita infinita. Il cambiamento climatico generato e alimentato dall’attuale modello economico sta generando problemi più che tangibili ma, forse, non ancora così devastanti da spaventare milioni di persone che sono troppo preoccupate di arrivare a fine mese.

In questo contesto un numero sempre maggiore di persone che ha perso sostegno economico e sociale, in assenza, di una sinistra che le tuteli, vota le destre che ripropongono invariabilmente la favoletta della detassazione e del libero mercato. E, per adesso, la cosa sembra funzionare.

Io non so se esista ancora una sinistra sul nostro pianeta. Vorrei, quindi, lanciare un messaggio nello spazio per vedere se qualche forma di vita intelligente lo possa captare: qui non si tratta di battere la destra (che è un male ma, oggi, non il peggiore). Si tratta di operare politiche che permettano di distinguersi da essa. Non si può ancora pensare che le imprese o la tecnologia (industria 4.0, green economy e altre simili amenità utili solo a cercare di perpetuare un giocattolo che è palesemente arrivato al capolinea) da sole possano rimediare a tutti i disastri sociali e ambientali ai quali abbiamo assistito inermi per tanti, troppi, anni.

Occorre avere il coraggio di riconoscere che il vero problema sono le ricette economiche neoliberiste e di promuoverne di nuove e diverse per tassare i grandi patrimoni al fine di rispristinare solidi servizi di welfare e vere misure di salvaguardia dell’ambiente.

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