Nessuna responsabilità. Giancarlo Giorgetti, dall’ottobre 2022 ministro dell’Economia del governo Meloni dopo aver ricoperto il ruolo di ministro dello Sviluppo dal febbraio 2021 con Mario Draghi, continua con il gioco dello scaricabarile: nulla di più avrebbe potuto fare, dice, per limitare l’impatto sui conti pubblici del Superbonus, varato come misura straordinaria nel 2020 dal governo Conte e in seguito prorogato su richiesta e con il benestare di tutte le forze politiche comprese quelle dell’attuale maggioranza. Colpa, sostiene, della Ragioneria generale dello Stato, che ha messo il proprio timbro sul provvedimento che ha creato la maxi agevolazione e poi su tutti i decreti approvati per circoscriverne gli effetti. I numeri però dicono che quella che ora il titolare del Mef definisce una “valanga” come quella del “Vajont” (“Quando noi siamo arrivati al governo, era l’ottobre 2022, ci hanno avvisato che stava arrivando la valanga e abbiamo fatto quello che si poteva, ma purtroppo era già partita”) si è gonfiata mentre era già membro dell’esecutivo.
A mostrarlo chiaramente è un grafico inserito nell’ultima memoria dell’Ufficio parlamentare di bilancio sul Superbonus (vedi foto in evidenza). “Gli investimenti hanno mostrato un costante aumento nel corso del tempo”, scrive l’Upb. “Nei primi diciotto mesi (luglio 2020 – dicembre 2021) sono stati asseverati investimenti per 16,2 miliardi, che sono passati a fine 2022 a 62,5 miliardi (+46,3 miliardi) e a 102,7 a fine 2023 (+40,2 miliardi). Nei primi tre mesi del 2024 si sono registrate nuove asseverazioni per 14,5 miliardi”. Nei mesi di settembre e dicembre 2022 si è concentrato “un numero elevato di nuove asseverazioni al fine di rispettare le scadenze previste nella normativa allora vigente, e del mese di dicembre 2023, in cui sono risultati particolarmente elevati gli investimenti conclusi per rispettare la scadenza dei pagamenti per la fruizione del 110 per cento”.
Dall’aprile 2023 “si sono invece pressoché arrestate le asseverazioni relative agli edifici diversi dai condomini” per effetto del decreto di febbraio 2023 che ha previsto il blocco della cessione del credito e del decreto Aiuti quater sui requisiti reddituali dei proprietari. Lo stesso decreto del 2023 ha però stabilito per i condomini una deroga del blocco per i lavori già avviati o per i quali fosse stata almeno presentata una Cila prima del 17 febbraio 2023. “Per effetto di tali deroghe”, a cui il governo Meloni ha dato via libera, “il flusso di nuove asseverazioni relative ai condomini – a differenza di quanto accaduto per gli altri immobili – non si è arrestato, finendo per rappresentare la quasi totalità dei nuovi investimenti nei dodici mesi tra aprile 2023 e marzo 2024. In questo periodo le nuove asseverazioni relative a condomini presentate in deroga sono risultate pari a poco meno del doppio rispetto a quelle dei dodici mesi precedenti (42,6 miliardi contro 23,7) e hanno continuato a beneficiare per la quasi totalità di una percentuale di agevolazione del 110 per cento”.
Il flusso dei nuovi investimenti, continua l’Upb, “è stato particolarmente consistente in tutti i mesi a partire da ottobre 2023: sempre superiore ai 4 miliardi al mese, con dei picchi a dicembre (5,9 miliardi) e a marzo 2024 (5,7 miliardi)“. Una dinamica su cui hanno influito l’avvicinarsi della scadenza delle deroghe alle misure restrittive del 2022, la riduzione dal 110 per cento al 70 stabilita per il 2024 e la modifica in senso meno restrittivo delle norme sulla responsabilità in solido dei cessionari dei crediti in caso di detrazioni o crediti non spettanti, che ha determinato “una maggiore propensione delle banche e degli altri intermediari finanziari ad acquistare i crediti”.
Al netto dei picchi, “si è osservato un progressivo incremento del flusso mensile dei nuovi investimenti, che è passato da circa 2 miliardi della fine del 2021, a poco più di 3 miliardi in media nel primo semestre 2022 e a oltre 4,5 miliardi medi nella seconda parte dello stesso anno“. Negli ultimi mesi del 2023 e nei primi del 2024, poi, “si registra una nuova impennata dei lavori conclusi (oltre 10 miliardi nel dicembre 2023), plausibilmente alimentata dall’incentivo ad anticipare i pagamenti per beneficiare dell’aliquota di agevolazione più elevata vigente fino a fine 2023, portando la quota dei lavori realizzati a poco più del 95 per cento a fine marzo 2024”. Sono state insomma le numerose proroghe e le deroghe concesse anche dopo gli annunci di “stretta” a far esplodere i costi fino alla cifra monstre di oltre 160 miliardi. “L’impatto del Superbonus sulla finanza pubblica è stato colto solo con il passare del tempo per la presenza di una certa inerzia nell’aderire alla misura, in particolare nel corso del 2020”, annota l’Upb. “Dalla fine del 2021 dai dati di monitoraggio Enea sono emersi i primi segnali di una possibile sottostima del fenomeno. Il tentativo di arginare l’impatto finanziario del Superbonus attraverso restrizioni successive è stato ostacolato dall’esigenza di tutelare i beneficiari che non avevano ancora concluso i lavori intrapresi. Le deroghe sono risultate ampie”.