“Senti Renato, io sono nelle mani di Giovanni per questi due supermercati qua. Per cui se vogliamo mettere il tuo vino devi parlare con Giovanni”. È la mattina del 17 marzo 2022 e Francesco Moncada, consigliere d’amministrazione di Esselunga e marito dell’ad Marina Caprotti, va a trovare Giovanni Toti nel suo ufficio al palazzo della Regione Liguria: nella stanza ci sono le cimici piazzate dalla Procura di Genova, che indaga entrambi per corruzione. Moncada mette il telefono in vivavoce e chiama l’attuale presidente del Cnel Renato Brunetta, allora ministro della Pubblica amministrazione nel governo Draghi, molto vicino politicamente a Toti (facevano parte della stessa corrente in Forza Italia). “Sono qui con un tuo amico“, dice. L'”amico” saluta e il manager spiega a Brunetta di aver bisogno del governatore per aprire due nuovi punti vendita nel capoluogo, dove è potuto sbarcare nel 2020 – dopo anni di dominio incontrastato della Coop – proprio grazie all’amministrazione di centrodestra. Come “leva” usa l’offerta di proporre il vino prodotto dalla Capizucchi, l’azienda agricola fondata dal ministro, negli scaffali Esselunga: “Se vogliamo mettere il tuo vino devi parlare con Giovanni”, dice. Il vino Capizucchi, in effetti, compare tuttora nei volantini promozionali della catena.

Il dialogo, riportato nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato ai domiciliari il presidente della Regione, si risolve in una sorta di sceneggiata, visto che “Giovanni” è lì e ascolta in diretta. Brunetta gli fa i complimenti: “Lui è bravo e serio”. “Lo so”, risponde Moncada (interdetto dall’esercizio della professione). Poi i due concordano un appuntamento al ministero. Dopo la chiamata, il dirigente di Esselunga discute con Toti e con il suo capo di gabinetto Matteo Cozzani – anch’egli presente all’incontro, arrestato e ai domiciliari – dello sblocco della pratica per costuire un supermarket nel quartiere di Sestri Ponente. Infine, Cozzani invita Moncada a prendere un caffè alle 18 nel proprio ufficio per “chiudere il cerchio“: all’incontro partecipa anche un altro indagato, Maurizio Rossi, editore della tv ligure Primocanale, molto vicina alla giunta regionale (tanto da meritarsi l’appellativo di “TeleToti”). In quell’occasione viene concordato il finanziamento illecito con cui, secondo l’accusa, Esselunga corrompe Toti: l’azienda si impegna a rinunciare ad alcuni passaggi pubblicitari sul maxischermo in cima al grattacielo più alto di Genova (di proprietà dell’emittente) per “regalarli” alla lista del governatore in sostegno di Marco Bucci, sindaco ricandidato alle Comunali del 2022. “Non possiamo togliere qualche cosa a noi e mettere Bucci… però bisogna farlo bene… “, riassume Moncada. La scelta di usare il maxischermo invece della tv viene presa perché considerata più “sicura” da un punto di vista dei controlli: “Qui non ho nessun obbligo… quindi posso dire che gli do dieci passaggi al giorno per dire… poi gliene do cinquanta”, spiega Rossi. Che ha già pronto il capro espiatorio, un “programmatore stupido” a cui dare la colpa se l’imbroglio venisse scoperto: “Se qualcuno contesta gli dico: “No guardi che devono essere dieci passaggi al giorno e questo qua ne ha messi 15…””.

Il manager di Esselunga, consapevole del rischio, chiede che il tutto venga fatto in modo “pulito”: “Dobbiamo dormire tutti tra due cuscini“. E a quel punto, ricostruisce il gip, gli interlocutori decidono di disfarsi dei cellulari per paura che vi possa essere installato un trojan, il virus che li trasforma in registratori. “Una voce indistinguibile chiede di spegnere qualcosa (“allora spegniamo questo qui che… “) e Moncada subito dopo, afferma: “Questo qui io lo metto proprio via”. È evidente”, scrive la gip Paola Faggioni, “come si faccia riferimento all’opportunità di spegnere o mettere da parte gli smartphone per il timore che la conversazione possa essere oggetto di intercettazione”. All’affermazione di Moncada di voler mettere da parte il cellulare, Cozzani dice a lui e a Rossi: “Fate fate…venite da me… facciamo così…”. “Appare plausibile”, si legge, “che il capo di gabinetto abbia invitato i presenti a consegnare i propri telefoni per riporli in luogo sicuro, al fine di impedire o rendere difficoltose possibili intercettazioni”. Una precauzione inutile: nell’ufficio di Cozzani erano installate le ambientali. Terminato il vertice – ormai sono quasi le sette di sera – i tre tornano nell’ufficio di Toti per l’ultimo check: “Allora noi siamo tutti a posto giusto? Siamo a sistema”. “Yes, siamo allineati su tutto”, conferma il governatore arrestato.

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