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Guerra a Gaza, Londra non ferma le forniture di armi a Israele. E agli Esteri David Cameron surclassa il premier Sunak in comunicazione

Il ministero: "Il Regno Unito non fornisce armi a Tel Aviv tramite il governo, ma attraverso licenze. Le nostre esportazioni di difesa verso Israele sono responsabili di molto meno dell'1% del totale"

Quando si è diffusa l’importante notizia del no di Joe Biden all’invio di nuove armi a Israele in caso di invasione di Rafah – noi l’abbiamo data mercoledí, fra i primissimi in Italia – mi sono immediatamente chiesta se il Regno Unito avrebbe seguito la linea Usa.

Sul conflitto a Gaza, infatti, Londra e Washington sono allineati, un po’ in virtù della loro tradizionale “special relationship”, un po’ perché, specie ora che è uscita dall’Ue, Londra non può che accodarsi all’unica grande potenza con cui è in buoni rapporti – ufficialmente pessimi con Russia e Cina, opportunistici con l’India.

L’alleanza con Israele segue questa strategia, e poi naturalmente ci sono legami nazionali che datano all’appoggio del movimenti sionista fin dai suoi albori, per non parlare delle relazioni complicate con i primi emigrati ebrei nel mandato britannico in Palestina ai primi del Novecento.

Ho quindi scritto al Ministero degli Esteri per chiedere se il Segretario agli Esteri David Cameron intendesse seguire il diktat di Biden. La risposta è arrivata solo ieri sera: il Regno Unito non fermerà le forniture di armi a Tel Aviv in caso di invasione. Ma…

Ecco i ma:

1) ‘”Gli Stati Uniti sono un enorme fornitore di armi a Israele. Noi nel Regno Unito non forniamo armi a Israele attraverso il governo. Abbiamo un certo numero di licenze, e penso che le nostre esportazioni di difesa verso Israele siano responsabili di molto meno dell’uno percento del loro totale. Questa è una grande differenza.”

2) “Non supporteremmo alcuna operazione importante a Rafah a meno che non ci sia un piano molto chiaro su come proteggere le persone e salvare vite… Non abbiamo visto tale piano, quindi in queste circostanze non supporteremmo un’operazione importante a Rafah.”

Ha poi promesso di vigilare perché i requisiti di quelle licenze vengano rispettati rigorosamente.

Che vuol dire? Non si sa esattamente. Inconcepibile che il supporto di Londra a Tel Aviv venga meno, anche nel caso che Netanyahu se ne infischi delle richieste di garanzie umanitarie, come del resto sta facendo con i molto più potenti USA.

Ma è vero che Cameron appare sinceramente coinvolto negli sforzi diplomatici per trovare una soluzione. Fa parte della visione con cui ha accettato l’incarico sempre prestigioso e di questi tempi cruciale di responsabile della politica estera britannica, a cui sta dando una marcia in più anche dal punto di vista della comunicazione.

Guardate questa clip social con cui ha celebrato i 100 giorni dell’incarico: i detrattori la trovano imbarazzante, i comunicatori di professione parlano di dinamismo, chiarezza, velocità, cura formale, visione. A voi il verdetto ma, vi prego di fidarvi, è molte spanne sopra la goffa comunicazione ufficiale o informale del suo capo, il primo ministro Rishi Sunak.

Perché lo sottolineo? perché Cameron, grazie anche all’esperienza da primo ministro dal 2010 al 2016, è al momento l’unica figura davvero carismatica nel partito conservatore. E il mio dubbio è che possa, date certe condizioni, decidere di tornare alla loro guida quando i Tories perderanno le elezioni politiche, o magari per scongiurare una sconfitta troppo devastante.

Mercoledí, reagendo alla notizia che una collega di partito, Natalie Elpihcke, deputata del ricco e conservatore Kent, era stata accolta nelle fila del Labour di Keir Starmer, ha centrato il problema. Ha detto, criticando non solo la ex collega ma anche Starmer: “Nella vita, se non ti schieri per qualcosa, cadrai per qualsiasi cosa.” È una frase attribuita ad Alexander Hamilton, uno dei padri della Costituzione americana.

Significa che chi non resta fedele ai propri principi finirà per non averne alcuno. E colpisce nel segno in un momento in cui il Labour sta tradendo ogni suo impegno.

La defezione della Elphicke, deputata di Dover con opinioni molto a destra, ha decisamente destabilizzato molti colleghi laburisti, per non parlare degli elettori.

Ma definire il Labour anche vagamente di sinistra è ormai completamente naive. Non solo Starmer, che ormai ha gli occhi a Downing Street, ha rinnegato le promesse per una ristrutturazione dell’economia in chiave sostenibile, ma nell’ultima proposta di riforma del mercato del lavoro sottrae ai lavoratori garanzie e protezioni prima parte del programma.

Quanto alla lotta all’immigrazione, il piano, svelato proprio oggi, è di impiegare anche le agenzie di sicurezza, cioè gli agenti dell’MI5, nel canale della Manica, e di applicare la legislazione anti-terrorismo per fermare i barconi.

Per chi non lo sappia, da giovane era trotzkista. La massima dice che non c’è peggior cinico di un idealista deluso. Non so se Starmer sia un cinico: probabilmente è un realista e ritiene che il paese non possa essere governato se non con compromessi con chi lo guida davvero, cioè le grandi società e la City. Ma i suoi possibili elettori, già provati da anni di debacle politica, rischiano cinismo e disaffezione.

Seguitemi, se volete, su X a @sabriprovenzani