Lo scorso marzo un giovane di 28 anni con problemi di tossicodipendenza, marchigiano di origine ma in carcere a Parma, si è appeso a un lenzuolo in una cella di isolamento. Solo, dentro quel baratro di solitudine, non ha visto altra speranza che quella di rinunciare a vivere. I familiari non si danno pace. Era già successo un paio di mesi prima in un altro istituto e di nuovo il mese ancora prima nel carcere di Verona. E purtroppo potrei continuare. Oltre il 10% dei tantissimi suicidi degli ultimi mesi dietro le sbarre sono avvenuti in celle di isolamento. Persone spesso con problemi psichiatrici che venivano isolate invece che prese in carico.

In isolamento crescono le violenze. Come è presumibilmente accaduto al carcere minorile Beccaria di Milano, dove la cella di isolamento, sottratta allo sguardo delle videocamere, veniva usata secondo le ricostruzioni del gip come teatro di abusi. O come è accaduto nel carcere di San Gimignano dove, secondo una delle prime condanne in assoluto avute in Italia per il reato di tortura, un uomo ha subito brutali vessazioni mentre si trovava nel reparto di isolamento.

L’isolamento fa male. L’isolamento non può essere lo strumento per gestire i problemi del carcere. L’isolamento genera danni alla psiche fin dai primi giorni, che secondo la letteratura medica rischiano di diventare irreversibili dopo circa due settimane. In carcere, nelle carceri di tutto il mondo, la pratica dell’isolamento è usata in maniera eccessiva. Gli Stati Uniti sono maestri in questo. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2021, ci dicono che sono state tenute in isolamento nelle carceri statunitensi per almeno quindici giorni consecutivi tra le 41.000 e le 48.000 persone lungo l’arco dell’anno. Un isolamento inumano e spesso lunghissimo. Circa la metà dei suicidi in carcere avvengono lì tra il circa 5% dei detenuti in isolamento.

Ma anche in Italia l’isolamento si pratica massivamente. Nei soli primi quattro mesi scarsi di questo 2024 sono stati disposti ben 668 provvedimenti di isolamento disciplinare. E, si badi, l’isolamento non è utilizzato in carcere solo per motivi disciplinari. Si usa per le più disparate ragioni, tra cui appunto per allontanare il problema di persone con disagi psichiatrici che andrebbero prese in carico da professionisti e che vengono così condannate all’abbandono e alla disperazione.

Antigone, insieme a Physicians for Human Rights Israel, un’organizzazione di medici che ben conosce i danni prodotti dall’isolamento, ha avviato da vari anni una campagna a livello mondiale per superare la pratica dell’isolamento penitenziario. È stato prodotto un documento puntuale che illustra le alternative cui caso per caso si può ricorrere nella gestione delle complessità. Il documento è stato presentato alle Nazioni Unite e ad altri soggetti interessati, nella speranza che divenga un riferimento a livello internazionale.

Ad aiutarci a stilarlo sono stati studiosi di fama mondiale, come Andrew Coyle della University of London, attivisti per i diritti umani, come David C. Fathi dell’American Civil Liberties Union, esperti dalla lunga esperienza nazionale e internazionale, come Mauro Palma e Grazia Zuffa, per non citare che alcune figure. Ma anche dirigenti penitenziari che hanno sperimentato in prima persona che si può (e si deve) mandare avanti un carcere senza ricorrere all’isolamento. Tra questi c’è Rick Raemisch, in passato a capo delle carceri del Colorado e collaboratore di Obama proprio su riforme legate a questo tema. A dimostrazione del fatto che non si tratta di proposte da anime belle sedute alle loro scrivanie e lontane dai problemi quotidiani delle carceri.

Abbiamo fatto di più: abbiamo inviato Raemisch in Italia a raccontare agli operatori, ai politici, agli studiosi del sistema delle pene che si può fare. E con lui abbiamo invitato Juan Mendez, anche lui firmatario del documento, in passato Special Rapporteur sulla tortura delle Nazioni Unite che tanto ha lavorato sul tema dell’isolamento. Con loro e con molti altri esperti italiani e internazionali ne discuteremo il prossimo lunedì 13 maggio presso il Dipartimento di Giursprudenza dell’Università Roma Tre.

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