La spettacolare difesa dei Minnesota T-Wolves
Hanno soffocato i Denver Nuggets. Badate bene, la parola “soffocato” è usata di proposito, rende al meglio l’idea del modo in cui si è spento improvvisamente il gioco di Nikola Jokic e compagni. Lo hanno fatto con la difesa. Perché se si vuole vincere, da sempre, non si può prescindere dalla difesa (chiedete anche ai Bulls di Jordan). Perché una buona difesa dà ritmo, dà energia all’attacco in generale: non solo al contropiede, ma anche ai singoli tiri. Gara 2, specialmente, a tratti è stata imbarazzante per la superiore reattività dei T-Wolves rispetto a dei Nuggets scioccati da tanta aggressività. Una difesa in effetti scioccante (e mancava pure Rudy Gobert, il miglio difensore dell’anno…). Degna (se non superiore per la singola partita) dei Knicks di Pat Riley o dei Pistons di Chuck Daly.
In che modo? Ecco alcuni aspetti chiave. I giocatori di Minnesota quando difendono non tolgono mai gli occhi dalla palla, direttamente o con la visione periferica. Così facendo, hanno sempre il controllo della posizione e delle reazioni dei propri compagni. Un elemento che aiuta la comunicazione difensiva, le rotazioni sono quasi sincronizzate, i cambi sui pick-and-roll sono ragionati e i close-out sui ribaltamenti di Denver viaggiano alla velocità della luce. In Gara 2, Karl Anthony-Towns ha fatto un grande lavoro su Jokic. Lo ha tenuto sul perno con buona mobilità laterale. Lo ha marcato faccia a faccia, disturbandogli la visione e molti angoli di passaggio, mentre i compagni in modo aggressivo cercavano di anticipare le eventuali ricezioni sui tagli o sul perimetro dei tiratori (prevent defense).
Poi, dalla panca, è entrato anche Naz Reid che, per certi versi, ha fatto ancora meglio. In due azioni diverse, il miglior sesto uomo del 2024 ha prima tenuto Jokic spalle a canestro, poi si è trovato a dover piegare le gambe contro Murray sul perimetro: ottimo scivolamento (e relativo angolo difensivo) per seguire l’entrata, chiuso con una stoppata sull’impotente tiratore di Denver. Minnesota applica una costante pressione sul portatore, riuscendo spesso a indirizzarlo verso le linee laterali, dove vengono costruite vere e proprie trappole, sfruttando un difensore in aiuto.
Nel secondo quarto sempre di Gara 2, per dire, Alexander-Walker e McDaniels hanno bloccato in coppia Jamal Murray in posizione di ala, imprigionandolo in una selva di mani e costringendolo a un per nulla comodo (e poco ritmato) passaggio laterale a centrocampo. Insomma, se i T-Wolves continuassero a difendere in questo modo, altro che la serie contro Denver (dove sono sopra 2-0). Potrebbero davvero mirare a obiettivi ancora più alti. Anche perché in attacco, gente come Anthony Edwards non sta virtualmente mostrando timidezza sul palco dei playoff (anzi), Towns sta tirando da tre con oltre il 53%, Conley è il regista silenzioso che dice “presente” quando serve, e quando subentra la seconda unit l’intensità non cala, spesso cresce ulteriormente. Complimenti.
Un pensiero sui premi della stagione NBA
Nikola Jokic (MVP) – Ha attualmente grosse gatte da pelare nella serie contro i Minnesota T-Wolves. Può consolarsi, tuttavia, con il terzo premio di MVP stagionale. Un’anima da playmaker nel corpo di un centrone anni ’90, con due diamanti al posto delle mani, la visione di gioco di John Stockton, e l’elevazione di un giocatore di serie D. Di nuovo: più che un giocatore, è un intero sistema di gioco.
Rudy Gobert (Miglior Difensore) – Vince il premio per la quarta volta. Trattasi di pivot di 7-piedi di categoria slasher, che in attacco va servito vicino a canestro, ma che in difesa è in grado di cambiare le sorti di una squadra con la sola presenza sotto il proprio ferro. Veloce, dinamico, reattivo, una sorta di Dikembe Mutombo aggiornato al 2024. Una delle ragioni dell’ottima stagione difensiva dei T-Wolves.
Naz Reid (Miglior Sesto Uomo) – Bella sorpresa. In difesa ha atletismo, fisico, cattiveria e applicazione, non è certo un bel cliente con cui avere a che fare. Entra dalla panchina ed è in grado di dare quella scintilla emotiva, spesso preziosa per cambiare ritmo alla gara o per mantenere inalterata la situazione con il quintetto a riposo. In attacco, è tiratore da fuori preciso (41,4% in stagione) sugli scarichi, la cui mano trema molto poco. Il pacchetto è quello di un giocatore, nella NBA moderna, molto prezioso.
Victor Wembanyama (Miglior Rookie) – Si è già detto e scritto di tutto. Bastano poche parole ormai. Non è evoluzione, è rivoluzione. Joel Embiid è evoluzione. Karl Anthony-Towns è evoluzione. Sono giocatori moderni, che possono essere considerati delle nuove versioni, aggiornate, di grandi giocatori del passato (Hakeem Olajuwon? Karl Malone? Kevin Garnett?). Il francese è, invece, rivoluzione: uno come lui, non c’è mai stato.
Tyrese Maxey (Giocatore più migliorato) – Palla in mano, è uno dei giocatori più veloci della lega. Penetra le difese come un coltello caldo nel burro. Ha un ottimo ball-handling, rapidità di esecuzione, faccia tosta per andare al ferro contro chiunque. La può mettere anche da tre, anche se le percentuali hanno ancora margine di miglioramento (37,3% in stagione). C’è da giurare che, insieme a Embiid, farà ancora parlare di sé.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.