“Un’elevata sperequazione tra i redditi lecitamente acquisiti e gli esborsi effettuati”. È il motivo per il quale “sussistono i presupposti per disporre il sequestro dei beni”. Con questa motivazione, il presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria Natina Pratticò ha sequestrato diamanti, rubini, collane, bracciali e anelli d’oro. Ma anche orologi di lusso tra cui ben 36 Rolex che facevano bella mostra di sé a fianco ai Cartier, Patek Philippe, Girard Perregaux e Tutor. Era il tesoretto del sedicente promotore finanziario Pasquale Caridi al quale, su richiesta della Procura di Reggio Calabria, la Guardia di finanza ha sequestrato anche conti correnti in Italia, in Spagna e in Germania. Beni che complessivamente superano i 2 milioni di euro e che Caridi, secondo i pm, ha accumulato perché al vertice di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati quali l’abusiva raccolta e gestione del risparmio, la vendita di strumenti finanziari fasulli, l’autoriciclaggio e l’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Fingendosi promotore finanziario, infatti, Caridi avrebbe agito sotto lo schermo di società finanziarie appositamente costituite e così avrebbe ricevuto denaro da centinaia di risparmiatori, residenti in tutta Italia, prospettando rendimenti particolarmente allettanti.

Finito qualche anno fa, assieme ad alcuni complici, al centro dell’inchiesta “Piramide”, nel 2023 il processo penale si è concluso con la prescrizione ma gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di finanza, con il coordinamento del procuratore Giovanni Bombardieri, hanno consentito di dimostrare che il nucleo familiare di Pasquale Caridi negli anni ha “potuto condurre un tenore di vita adeguato solo avvalendosi di capitali di illecita provenienza atteso che, al netto dei costi, le rimanenza disposizione non avrebbero consentito di soddisfare le minime esigenze quotidiane”. Il Tribunale che ha disposto il sequestro è stato categorico: “La ragione della sproporzione tra patrimonio posseduto e redditi lecitamente dichiarati non può che essere ricercata nell’attingimento di ulteriori e plurimi guadagni presso una fonte occulta che, nel caso di specie potrebbe essere costituita dall’abusiva attività finanziaria e creditizia, nonché nella truffa”.

Anche se il processo si è concluso con la prescrizione, la Finanza non ha dubbi: quello messo in piedi da Caridi era il classico “schema Ponzi”. In sostanza, assieme ai suoi complici, prometteva tassi di interesse particolarmente allettanti, anche fino al 40%. Centinaia di risparmiatori in tutta Italia avevano la sensazione di trovarsi davanti a un “mago della finanza” in grado di procurare loro alti guadagni con pochi rischi. In realtà, di fronte, avevano un presunto truffatore e i suoi compari, tutti partecipi a un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Un’organizzazione in grado di far sparire i risparmi delle vittime mediante la vendita di strumenti finanziari e fasulli e assicurazioni fittizie.

La raccolta del denaro, infatti, sarebbe avvenuta mediante la stipula di contratti nell’ambito di un “sistema piramidale”, in cui le entrate, che consentono di finanziare il corrispettivo promesso ai partecipanti, non derivano da un’attività reale, bensì dal beneficio economico conseguente all’ingresso di altri soggetti nel sistema. Una sorta di “catena di Sant’Antonio” che ha svuotato i conti correnti delle vittime e che, per la Procura di Reggio Calabria, ha riempito quelle di Caridi.

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