Libri e Arte

Salone di Torino 2024, “Contro lo smartphone”: in un libro il manifesto alternativo per un telefonino più equo, trasparente e meno necessario

De Martin non solo mostra una soverchiante superiorità intellettuale in termini di analisi tecnica in microprocessori, ma dona alla sua analisi propositiva sia cervello che cuore

di Davide Turrini
Salone di Torino 2024, “Contro lo smartphone”: in un libro il manifesto alternativo per un telefonino più equo, trasparente e meno necessario

Un altro smartphone è possibile. Riecheggiano i toni no-global in questo necessario ed egualitario slogan che Juan Carlos De Martin propone nel suo saggio “Contro lo smartphone” (Add Editore) presentato nelle scorse ore al Salone del Libro di Torino. “Siamo stati abituati a non farci tante domande sulla tecnologia. La tecnologia arriva e noi ci limitiamo ad adottarla, nel qual caso siamo per il ‘progresso’, oppure la critichiamo, nel qual caso siamo conservatori o addirittura luddisti, ma non deve essere necessariamente così”, spiega l’autore, professore ordinario di Ingegneria informatica al Politecnico di Torino. Perché questa dissertazione pacata, cortese, acuta, attorno al dominio culturale e pratico dello smartphone, a questa sua invadenza fisica e mentale, a questa intoccabile esclusività capitalistica in termini commerciali, ha tutto fuorché del cieco e materialistico furore distruttivo.

Il punto è: perché quel “parallelepipedo” lì non può trasformarsi in qualcosa di più democratico e meno necessario? Insomma De Martin non solo mostra una soverchiante superiorità intellettuale in termini di analisi tecnica in microprocessori, licenze, app e sistema giuridico del settore, ma dona alla sua analisi propositiva (“un’operazione intellettuale e civile”) sia cervello che cuore, riprendendo proprio le parole dell’allora garante della privacy, Stefano Rodotà: “L’avvenire democratico si gioca sempre di più intorno alla capacità sociale e politica di trasformare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione in tecnologie della libertà e non del controllo”. I dati fattuali dell’affermazione oramai inarrestabile dello smartphone sono inconfutabili. Da quando è entrato sul mercato, nel 2007, sono stati venduti oltre 15 miliardi di smartphone, mentre i personal computer venduti sono poco più di 5 miliardi e le oramai vetuste automobili hanno superato a malapena il miliardo.

Si stima inoltre che nel 2022 in media nel mondo le persone abbiano passato 5 ore in media sullo smartphone al giorno e che oramai come ricorda De Martin questo sia diventato oggetto “necessario”, proprio per stare al passo della gran parte di azioni quotidiane gradualmente digitalizzate al di là delle app da scrollare compulsivamente. Del resto la Corte Suprema degli Stati Uniti in una recente sentenza ha classificato lo smartphone come una “caratteristica dell’anatomia umana”. Pensiamo solo al fatto che mentre i cosiddetti telefonini non collegati alla rete più erano piccini e leggeri più erano graditi e acquistati, oggi si è arrivati al paradosso opposto: più i modelli di smartphone sono larghi e pesanti (ce n’è uno da tre etti) più hanno successo. Chiaro, De Martin non vuole fomentare qualsivoglia rivolta antitecnologica, anzi.

Il suo “manifesto” per un altro smartphone possibile è qualcosa di sottilmente, egualitariamente e prepotentemente alternativo. Partendo dal fatto che tra le tante “conseguenze” che l’autore analizza ci sono quelle nefaste sull’informazione (le app determinano ciò che vediamo ergo le immagini e le notizie tendenzialmente le subiamo e non le cerchiamo in autonomia) come sulla mente (il fenomeno della “ridotta capacità di concentrazione” è già patologia conclamata e anagraficamente trasversale), i venti punti proposti da De Martin sono semplici e naturali richieste che renderebbero lo smartphone “più rispettoso e equo”.

Ne citiamo alcuni. Un paio, il punto 5 e 6, cercano di tornare alla vecchia affidabilità degli elettrodomestici che duravano quasi a vita chiedendo che si lavori per uno smartphone, sia hardware che software, “progettati per massimizzare la vita media dell’oggetto”, nonché la batteria deve “essere facilmente rimuovibile” (e sostituibile, aggiungiamo noi). Punto 13 e 17: ridurre al minimo la sorveglianza degli utenti e uso dei dati per altre funzioni (e qui gli Stati centrano il giusto perché chi comanda sono il mono-duopolio Apple Google). Punto 19: app e sistemi operativi devono avvisare l’utente i comportamenti potenzialmente pericolosi dell’uso dello smartphone. E comunque per De Martin la domanda delle domande, sicuramente e filosoficamente boomer, ma se hai qualche anno più vuol dire che hai la vista un po’ più lunga: “ci va davvero bene che lo smartphone, qualsiasi tipo, anche quello più equo, sostenibile e trasparente diventi un oggetto necessario”?

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