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Theodor Storm, la poesia del Mare del Nord (traduzione di Antonio Devicienti)

Esiste una regione nell’estremo Nord della Germania la cui storia e il cui paesaggio posseggono peculiarità oltremodo interessanti e affascinanti: lo Schleswig-Holstein. Il nome e l’opera (sia narrativa che poetica) di Theodor Storm (Husum, 1817 – Hademarschen, 1888) esprimono benissimo lo spirito di un territorio pianeggiante la cui identità è indissolubilmente legata al Mare del Nord e da esso plasmata. Si tratta di un ecosistema caratterizzato dai cicli di marea che ogni sei ore fanno sì che il mare si allontani per molti chilometri dalla costa lasciando scoperto il fondo marino (sul quale è possibile camminare e anche cavalcare) per poi tornare a ricoprirlo, dalle lingue di sabbia spesso coperte di erba, dalle lagune, dalle moltissime isole (alcune raggiungibili anche a piedi durante la bassa marea) e da un clima non sempre clemente, eppure capace di legare a sé chi vi abita determinandone una personalità spesso austera e frugale, consapevole della potenza della natura e anche della sua selvaggia bellezza.

Storm ama in maniera totale la sua regione (è tra l’altro coinvolto nella lotta di liberazione dello Schleswig-Holstein dalla dominazione danese, evento che lo costringe all’esilio) e Husum, la sua città natale (la “grigia città sul mare” di una delle liriche qui proposte) – nelle sue novelle (tra i capolavori della letteratura tedesca) così come nelle sue poesie Storm dà voce a una comunità temprata dalle furie di un mare capace di generare nella fantasia di chi è nato sulle sue rive leggende e canti di struggente amore.

A. D.

***

Nell’esilio (1839)

Altri mari, altri lidi –
da gran tempo dissoltisi spiagge e mari
all’intorno, fin dove si spinge la vista,
non conosco alcun luogo che sia mio.

Altre persone, altri cuori,
mai un saluto cordiale,
da gran tempo dissoltisi giochi e passatempi,
da gran tempo dissoltisi passatempi e baci.

Ma finito il giorno
(nel buio giacciono valli e alture)
mi porta pace la notte
mentre sorgono le stelle.

Esse guardano dalla loro azzurra lontananza
così intime verso di me! –
Dio e le sue luminose stelle
sono eterni: lì come qui.

La città (1852)

Sulla grigia spiaggia, sul grigio mare
(appartata) giace la città;
la nebbia grava sui tetti
e attraversando il silenzio rumoreggia il mare
(monotono) attorno alla città.

Non bisbigliano i boschi a maggio
né cantano incessanti gli uccelli;
con le sue dure grida solo l’anitra migrante
attraversa la notte autunnale –
sulla spiaggia si agita l’erba.

Tuttavia il mio cuore ti ama,
grigia città sul mare;
l’incanto della giovinezza
riposa sorridente su di te, su di te,
grigia città sul mare.

Spiaggia sul mare (1854)

Ora i gabbiani volano verso il mare
e irrompe il crepuscolo serale,
il brillio della sera si specchia
sulle conche d’acqua.

Grigi uccelli zampettano
accanto all’acqua,
simili a sogni giacciono le isole
nella nebbia sul mare.

Odo la musica segreta
del fango che fermenta,
il richiamo solitario degli uccelli –
è così da sempre.

Ancora una volta silenzioso rabbrividisce
e poi tace il vento;
si possono ascoltare le voci
sull’abisso.

Al tronco verticale della tua croce (1863)

O Gesù Cristo, ho appoggiato il mio capo dolorante
al tronco verticale della tua croce;
ma da te non è venuta né consolazione né forza.

Non avevi né moglie né figlio, eri
uomo soltanto a metà; il nucleo della nostra vita
l’hai provato solo a metà; quel che d’immane
su noi viventi il mondo accumula
non l’hai conosciuto; il tuo sacrificio
è stato soltanto a metà. – Saresti rimasto fedele
se avessero inchiodato tua moglie, tuo figlio alla croce?
Ci devi ancora una risposta. – Certo con gratitudine,
con amore ti guardo –

Ma non sei in grado

di salvarmi. – Oppresso da solitarie pene
reclino il capo; allora si posò caldo di vita
sul mio cuore un amatissimo peso;
– e appena esse si calmano
sento il cerchio della vita saldamente chiuso
uguale a una muraglia contro la morte e la menzogna.
Mi sento consolato. – Vieni, o amata,
dovremo essere i redentori di noi stessi.

Crucifixus (1865)

Dalla croce pendeva il suo corpo straziato,
sporco di sangue e oltraggiato;
poi la semprevergine pura natura
ne soffiò via la spaventosa immagine.

Ma quelli che si facevano chiamare suoi discepoli
lo scolpirono nel bronzo e nel marmo
e lo ficcarono nel buio del tempio
e nella luce delle campagne.

Così, un brivido per ogni occhio,
egli irrompe nel nostro tempo
eternando l’antico delitto,
immagine dell’irriconciliabile.