Libri e Arte

Rushdie al Salone del Libro racconta (con autoironia) l’aggressione che lo ha reso cieco: “Era una situazione abbastanza erotica”. E su I versi satanici: “Chi mi ha attaccato non lo ha mai letto”

Specchio l’uno nell’altro, al Salone 2024, Saviano si è travestito da aulico e appassionato recensore, Rushdie da battutista sagace modello stand-up comedian e ha presentato il suo ultimo libro, Coltello

di Davide Turrini
Rushdie al Salone del Libro racconta (con autoironia) l’aggressione che lo ha reso cieco: “Era una situazione abbastanza erotica”. E su I versi satanici: “Chi mi ha attaccato non lo ha mai letto”

Salman Rushdie l’invincibile. Ci voleva il Salone del Libro di Torino 2024 per farci capire il gran senso dell’umorismo, versione sarcastica autoironia sulla propria disgrazia, del 76enne scrittore indiano. Imponenti i controlli (inspiegabilmente più tra gli addetti ai lavori che tra gli spettatori comuni) hanno accompagnato l’arrivo dell’autore di I versi satanici al Lingotto. L’occasione pubblica è stata quella di presentare Coltello (Mondadori), l’ultimo libro scritto da Rushdie dedicato alla rielaborazione del ricordo dell’accoltellamento subito quasi due anni fa a New York che l’ha reso cieco da un occhio e portato a subire diverse menomazioni fisiche. Sull’altra poltroncina dell’Auditorium, di fianco a lui, quel Roberto Saviano che, a differenza della fatwa islamica sciita dell’ayatollah Khomeini lanciata nel 1988 contro l’indiano, venne condannato a morte dai clan camorristi dopo aver scritto Gomorra.

Specchio l’uno nell’altro, Saviano si è travestito da aulico e appassionato recensore, Rushdie da battutista sagace modello stand-up comedian. “Il palco era come questo e il pubblico pure. Però voi non mi sembrate così cattivi”, Rushdie ha fatto subito capire il tono che avrebbe tenuto nella discussione al Salone. “Quel tizio (l’accoltellatore ndr) si è alzato dal pubblico, è corso molto velocemente sul palcoscenico. Io non me ne sono neanche accorto. Nel momento in cui l’ho visto, e lui mi è saltato addosso, sono passati pochissimi secondi. Il primo colpo che ho subito ho pensato fosse un pugno, invece mi aveva accoltellato alla mascella. Poi sono caduto e lui mi è venuto sopra. Non so come dire, ma era una situazione abbastanza erotica”. A salvarlo il settantenne presentatore della serata newyorchese. Un omino. Ma ciò nonostante il signore si è gettato sul palco per tentare di bloccare l’attentatore. “Dalle prime file del pubblico mi sono corse in aiuto un sacco di persone. L’hanno atterrato. Senza il loro aiuto non sarei qui oggi. Un amico indiano mi ha detto: sei stato fortunato che non sia accaduto in India, perché lì le prime file di pubblico sarebbero scappate di filata, che non sarà giusto, ma è divertente”.

Tante le digressioni spiritose in Coltello. Come quando ancora sanguinante Rushdie scrive di aver chiesto ai soccorritori di non tagliargli la Ralph Laurent nuova che indossava (“quella che indosso stasera però è nuova”). La verve comica sgorga naturale e gli applausi lo accompagnano in ogni fine frase. Un trionfo di vicinanza e affetto. “I servizi britannici e la sicurezza Usa dopo vent’anni mi avevano spiegato che il livello di minaccia era diminuito”, ha riannodato i fili del tempo lo scrittore. “Io vivo a New York da 25 anni e per 23 anni è sempre andato tutto andato bene. Ho avuto una vita normalissima, ho presentato libri, conferenze, letture. Pensavo realmente che la questione della fatwa fosse chiusa, ma per questo tipo non era così. Comunque ho avuto vent’anni di buona vita e ne voglio altri venti che mi faranno arrivare a 97 anni. Sto pensando alla festa di compleanno dei miei 100 anni: si ballerà e ci vorrà un dj molto attempato”.

L’attentatore 24enne rimane del resto un mistero. Sbucato dal nulla, anzi dal pacifico New Jersey, fedina penale pulita, assente dall’elenco dei ricercati per terrorismo. Rushdie ricorda che quattro anni prima dell’aggressione il ragazzo andò a trovare il padre separato in Libano in un villaggio sul confine israeliano dove abitavano molti esponenti di Hezbollah. “Ci rimase solo un mese e più di quattro anni prima dell’aggressione. Però sua madre sostiene che al ritorno dal Libano il figlio era completamente trasformato e si interessava all’Islam. Il tizio si è chiuso nella cantina di casa e ha guardato solo video per 4 anni. Improvvisamente per strada vede il cartellone dell’evento a cui partecipavo. Ci sono però buchi neri in questa storia. Il resoconto non convince. Allora mi sono detto ok: me lo invento io. Io invento lui molto meglio di quanto lui ha saputo inventarsi e lo faccio diventare più convincente. In modo che mi appartenga”, ha ricamato da vero affabulante scrittore.

Rushdie ha poi concluso l’incontro parlando del rapporto con il suo libro dello scandalo: I versi satanici. “Oggi può proteggersi da solo. È il suo destino, deve stare là in mezzo a tutti, trovare una sua strada nel mondo. Intorno a quel libro si sono levate così tante voci che dico sempre, a chi mi chiede da quale romanzo iniziare per conoscere le mie opere, non leggete quello come primo, ce ne sono altri 22 poi magari ci ritornate”. Infine, la chiosa, ancora straordinariamente dissacrante: “Peccato perché credo sia un grande libro. Non è un libro sulla religione, la maggior parte riguarda Londra, anzi lo considero il mio romanzo su Londra. Anche se non lo pensa così nessun’altro. Molti mi hanno sempre posto due domande su I versi satanici: dov’è la parte scabrosa che non la troviamo? E io rispondevo: non la trovate perché non c’è; e altri dicevano: ‘chi sapeva che fosse divertente?’ E io rispondo: quelli che l’hanno letto lo sapevano. Infatti penso che tutti coloro che mi hanno sferrato attacchi I versi satanici non lo hanno mai letto”.

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