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Botta e risposta tra Sechi e Jebreal sul Nove: “A Gaza nessun genocidio”. “Da ex portavoce del governo hai perso il contatto con la realtà”

Acceso botta e risposta tra Mario Sechi e Rula Jebreal, entrambi ospiti di ‘Accordi&Disaccordi’, il talk in onda sabato sera su Nove, condotto da Luca Sommi con la partecipazione di Marco Travaglio e Andrea Scanzi. La giornalista, in collegamento da New York, ha ricordato al direttore di Libero quando, ospite di Otto e mezzo, poco dopo il 7 ottobre aveva evocato la necessità da parte di Israele di “bombardare Gaza come era stata bombardata Dresda” (tra il 13 e il 15 febbraio 1945 con un numero di morti stimato tra i 22mila e 25mila, ndr). “Oggi Israele è sul banco degli imputati non solo per crimini di guerra, ma anche per genocidio alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia – ha detto la docente di comunicazione all’Università di Miami – A un certo punto bisogna comprendere che nessuna delle politiche che sono state messe in atto garantirà la sicurezza di Israele. Anzi. E non lo dico io, lo dicono gli ex capi dei servizi segreti israeliani, Ahmed Ayalon, ex primi ministri come Barak e Olmert e il capo dei servizi segreti americani: tutti hanno visto un’impennata di radicalizzazione con potenziali attentati anche contro l’Europa per il sostegno diretto e indiretto che si scatenerà semplicemente perché non non siamo riusciti a mettere pressione su Israele affinché rispettasse il diritto umanitario internazionale”.

Sechi però è contrariato dall’uso della parola “genocidio”: “Ricordo che il programma di cancellazione dalla carta geografica e di sterminio della popolazione è di Hamas e del suo alleato, anzi del suo vero burattinaio, che è l’Iran, questo è un dato di fatto”, ha detto il giornalista. La scrittrice ha ricordato allora che anche la carta del Likud (il partito nazionalista di destra a cui appartiene Netanyahu, ndr) del 1977 dice esattamente che il controllo israeliano del territorio sarà totale. Se parliamo di ‘genocidio’ basta ascoltare le televisioni israeliane dove il capo del Likud (Netanyahu, ndr) due giorni fa lo ha evocato dicendo che l’unica vera vittoria consiste nell’obliterare Gaza. Se vuoi parlare di genocidio, Mario, se ci tieni tanto a usare la parola ‘genocidio’ ascolta ministri come Ben Gvir e Smotrich, che parlano di annientare completamente la popolazione di Gaza”. Sechi ha ribattuto: “Non si può francamente, né dal punto di vista politico attuale, né dal punto di vista storico per quello che è successo, l’Olocausto e così via, attribuire a Israele alcuna volontà di genocidio. Non siamo di fronte a un programma di sterminio della popolazione palestinese. Casomai c’è stato e si è visto chiaramente un programma di caccia all’ebreo, come abbiamo visto anche il 7 ottobre. Le guerre finiscono quando devono finire. Il problema enorme, drammatico, tragico per tutti, in particolare per tutta l’area del Medio Oriente – non solo per Gaza, Israele e così via. Perché è una guerra che ha un’estensione molto più grande, con fili che si ramificano perfino fino alla Russia per le alleanze militari e così via – è che la guerra finisce quando Hamas verrà resa innocua dal punto di vista politico”.

La reazione della Jebreal è durissima: “Capisco che uno che ha lavorato come portavoce del governo – si pensi solo che l’Italia è slittata di molti punti nella classifica della libertà di espressione. L’anno prossimo ci troveremo dopo il Burkina Faso – ragioni come una persona che ormai ha perso contatto con la realtà. Le guerre finiscono, non annientando 2 milioni e mezzo di persone, perché vuol dire che tu stai condannando Israele a una guerra perenne. Se tu pensi che puoi uccidere qualsiasi leader di Hamas, quelli che sono nascosti in Siria, in Qatar, in Turchia e Russia, vuol dire che non hai capito niente dei 20 anni di guerra al terrorismo. L’unica volta che gli Stati Uniti sono riusciti a uccidere il leader di Al Qaeda, Al Zarqawi, in Iraq, come hanno fatto a ucciderlo? Quando hanno potuto offrire agli iracheni non più solo bombardamenti, ma una visione diversa di politica, libertà e inclusione nell’Iraq del futuro”, ha concluso la giornalista.