“Invecchiare è ancora il solo modo che si è trovato per vivere a lungo”. Dopo due secoli, questo aforisma di Charles Augustin Sainte-Beuve non è ancora stato smentito. L’invecchiamento è il decorso comune per tutti, eppure è una questione che cambia nel tempo.
Con l’aumento dell’aspettativa di vita e il calo delle nascite, la popolazione (in Occidente) sta rapidamente invecchiando. Secondo l’Onu, entro il 2050 gli over 65 saranno il 16% della popolazione globale, contro il 9% di oggi. Una rivoluzione silenziosa che pone sfide inedite alle nostre società: come garantire welfare, prosperità e coesione in un mondo che invecchia? Quali politiche dell’età serviranno per trasformare la longevità da fardello a risorsa? E ancora: in quali condizioni invecchieremo?
Quest’ultima domanda, posta oggi tra guerre, policrisi, rabbia sociale, disuguaglianze ecc. può scatenare reazioni anche “scomposte”. Tuttavia (e forse proprio per questo), è utile esplorare ulteriori possibilità, tentando di liberarci temporaneamente dalla gabbia della contingenza.
Scenari di opportunità: un mondo indifferente all’età
In futuro l’età anagrafica potrebbe non essere più il criterio principale per definire diritti, doveri e opportunità dei cittadini. In questo ipotetico scenario, le politiche pubbliche si basano su bisogni e capacità effettive delle persone. È la prospettiva cui guardano i teorici della age-agnostic policy. L’idea di fondo è che in una società sempre più longeva e diversificata, le tradizionali categorie di “giovani”, “adulti” e “anziani” siano meno adeguate a catturare la complessità delle biografie individuali.
C’è chi a 70 anni è ancora attivo e produttivo, e chi a 50 è già fuori dal mercato del lavoro. Allora le politiche “age-agnostic” superano l’età come criterio rigido di accesso a diritti e servizi, a favore di un approccio più flessibile e personalizzato. Niente più pensione alla stessa età per tutti, ma ritiri graduali basati su capacità individuali. L’insorgere di specifiche condizioni di fragilità o non autosufficienza garantiscono in questa prospettiva l’accesso a determinati benefit (oggi riservati agli anziani).
Già oggi, in effetti, Singapore ha lanciato il programma Skills Future Credit che offre a tutti gli over 25 un voucher per la formazione, indipendentemente dall’età. Mentre il Giappone ha introdotto un sistema di “pensionamento a menù” che consente di combinare in modo flessibile lavoro e pensione.
Scenari critici: un mondo indifferente alle persone
Nel tentativo di superare le discriminazioni sull’età si rischiano però nuove forme di “ageismo”, trasformando gli anziani in “diversamente giovani”, senza più tutele. Sarebbe un mondo individualista, che scarica sulle spalle dei singoli la responsabilità di “attrezzarsi” per affrontare l’invecchiamento. Una prospettiva che può aumentare le disuguaglianze, premiando chi ha più risorse economiche, sociali e culturali per pianificare la propria vecchiaia. E lasciando indietro chi, per condizioni di partenza o eventi della vita, si trova nell’impossibilità di prepararsi in anticipo.
Sono scenari che impongono di trovare il giusto equilibrio tra flessibilità e tutele, tra personalizzazione e universalismo, e che richiedono informazione ed educazione per una “longevità a portata di tutti”.
Transizioni possibili: l’età giusta per ripensare l’età
L’invecchiamento non è un destino ineluttabile, ma una conquista da governare. Però vanno messe in discussione le nostre categorie consolidate, a partire proprio dall’età. Significa valorizzare il potenziale di ogni fase di vita, guardando le persone per quello che sono e possono fare, non per la data sul certificato di nascita. Solo così potremo costruire una società in cui invecchiare non sia un limite, ma una risorsa.
La longevità è un patrimonio da coltivare, non un fardello da sopportare. L’età giusta per iniziare a farlo è quella di oggi.