di Raffaele Fiengo

Il Corriere della Sera, nella sezione Cultura, ha pubblicato il 10 marzo 2024 un ampio articolo del suo critico letterario Paolo Di Stefano intitolato “Cesare Segre cronista civile”. È un testo che poteva sembrare un po’ imprevedibile perché Cesare Segre, scomparso 10 anni fa, è famoso per essere il maggiore studioso di Filologia romanza italiano, anche internazionale, il lettore eccezionale della Chanson de Roland. Nell’ambiente accademico è insomma uno dei grandi maestri della cultura.
In realtà però ha sempre scritto anche degli articoli diciamo da “cronista civile” come ha titolato il Corriere. Questi testi, che sono 481, sono stati ora raccolti da Paolo Di Stefano in un libro del Saggiatore, Diario civile.

Ho così ritrovato, citato, un importante lavoro, nato nel 1994 da Segre, dallo scrittore Corrado Stajano e da me come “operatore giornalista”. È il Manifesto democratico 1994 pubblicato allora dalla rivista Belfagor e firmato da duecento uomini e donne della cultura, scrittori, intellettuali del mondo dei libri e degli spettacoli, studiosi indipendenti. Segre lo avvicinava al manifesto di Croce del 1925.

Il Manifesto democratico 1994 era una raccolta di 10 tematiche che davano voce all’inquietudine generale che percorreva, in quella primavera del 1994, gran parte della società italiana. Il 25 aprile, alla festa della Liberazione di allora questo stato d’animo prese corpo in modo impressionante e indimenticabile sotto una pioggia battente, a Milano nel corteo della celebrazione. Allora l’inquietudine e la reazione forte nascevano dal fatto che, dopo le elezioni in primavera era andato al governo Silvio Berlusconi che si era portato nel governo per la prima volta anche tre ministri del Movimento sociale italiano. Era la compagine politica che, fino a quel momento, in Italia dopo la guerra era sempre rimasta fuori dal contesto politico proprio perché portatrice di un’eredità del passato poco compatibile con il sistema politico nato dalla Liberazione dal fascismo.

Il documento si era formato attraverso discussioni in molte regioni, in riunioni di 30-50 professori, una genesi durata alcuni mesi e fu pubblicato da “Belfagor” a novembre 94, con tutte queste firme autorevolissime. Riguardando il Manifesto emerge un parallelo naturale con la vicina festa di Liberazione che il quotidiano il Manifesto e Radio popolare proponevano con un appuntamento generale della comunità democratica e costituzionale a Milano per il 25 aprile (“Si potrebbe tornare a Milano”). Come poi è avvenuto.

Nel gruppo di lavoro universitario, nato tra la Fondazione Murialdi (i giornalisti) e l’università di Roma La Sapienza (i docenti e gli studenti) abbiamo trovato che i trent’anni di quel Manifesto 1994 meritavano uno studio, analisi e informazione larga proprio perché in questo momento in Italia c’è ugualmente una certa inquietudine in qualche modo simile a quella di allora. Questo documento del 1994 poi aveva un particolare elemento di contatto, che aveva molto a che fare con gli studi che stiamo portando avanti tra Fondazione Murialdi e Università di Roma da due o tre anni. Infatti al punto 4 del documento si legge:

La libertà della parola parlata e della parola scritta è alla base di tutte le altre libertà. Fondamento concreto della democrazia è dunque l’esercizio effettivo della libera espressione del pensiero e dei diritti di informazione. Costituisce un attentato quotidiano contro di essa il monopolio dei mezzi potentissimi con cui può essere limitata falsata e influenzata o conculcata.

Questa non è una affermazione retorica, è un punto di arrivo di tutta la dottrina e giurisprudenza che riguarda la Repubblica, anche a livello costituzionale. Perché questo? Perché la Corte suprema, recependo gli studi e i confronti di molti anni dei costituzionalisti, ha messo nelle sentenze che la libertà di manifestare il pensiero è la pietra angolare dell’intera Costituzione. In parole povere non è che la democrazia esiste e di conseguenza c’è anche la libertà di manifestare il pensiero con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo. No, è il contrario! Esiste la libertà di manifestare il pensiero (quando c’è e quando un popolo la conquista) e, di conseguenza, c’è l’ordinamento democratico.

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