La lunga giornata elettorale ha assestato un colpo durissimo all’indipendentismo catalano. Lo attestano i numeri: le formazioni che hanno sostenuto il procés, la battaglia per la separazione unilaterale da Madrid, hanno ottenuto complessivamente 61 seggi, nel 2021 erano 13 in più, quanto è bastato per formare una coalizione di governo risicata (68 è la soglia per la maggioranza) ma di chiaro segno separatista.

Oggi vincono i socialisti catalani (PSC), il partito regionale che risponde alla famiglia del PSOE di Pedro Sánchez passa da 33 a 42 seggi affermandosi nelle principali città, Barcellona, Badalona, Tarragona, mentre gli indipendentisti mantengono Girona, storico feudo separatista.

È ora plausibile un tripartito di sinistra, con i socialisti alleati dei partner del governo centrale di Sumar (raggruppamento che in Catalogna ha il suo fulcro in Comuns, formazione fondata da Ada Colau, già sindaca di Barcellona) e con gli indipendentisti di sinistra di Esquerra Republicana (Erc) del presidente uscente Pere Aragonès. Quest’ultimo, nelle prime battute dopo lo spoglio, ha fatto balenare l’idea di un posizionamento all’opposizione, ma Erc è da cinque anni interlocutore privilegiato del PSOE alle Cortes di Madrid e il tonfo elettorale (ha perso 13 seggi) porterà i dirigenti del partito a riflettere seriamente sulla possibilità di un patto con i socialisti.

Gli intrecci tra Madrid e Barcellona si rafforzano, la Generalitat potrebbe in parte rispecchiare gli assetti dell’esecutivo centrale dove la coalizione di Pedro Sánchez dipende in Parlamento dal sostegno dei 14 deputati indipendentisti, 7 a testa per Esquerra e Junts, il partito moderato di Carles Puigdemont che ha guadagnato consensi in queste consultazioni regionali (più tre seggi).

“Cansancio”, stanchezza, è stato il sostantivo ricorrente nelle analisi sulle vicende politiche catalane di questi giorni. Estenuazione sociale alimentata dalle facili promesse di una separazione possibile con un referendum bocciato dal Tribunale costituzionale o da una ancor più semplice Dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Secondo i dati dell’Istituto di Scienze Politiche e Sociali, nel 2015 il 43% dei catalani dichiaratisi separatisti era convinto che il procés portasse ad una sicura proclamazione di indipendenza, oggi quella percentuale scende al 12%.

Una disillusione che ha trovato un chiaro riflesso nel dato elettorale.
Il procés ha assorbito per anni energie e dibattiti, l’indipendenza vista come una “utopia disponibile” ha lasciato nell’ombra temi essenziali su economia e sanità come pure la delicata questione sull’immigrazione o su una siccità, quasi endemica, che mette in ginocchio agricoltura e settore turistico.

La rotta è decisamente cambiata e il voto riporta al centro i problemi reali.
Forse in Catalogna è iniziato il postprocés.

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