“Non siamo una casta“. Nel giorno dell’attacco del ministro Guido Crosetto, la magistratura organizzata tenta di recuperare credibilità, e lancia una “mobilitazione culturale e comunicativa“. Ma alla fine dal congresso dell’Associazione nazionale magistrati non viene decinsa alcuna iniziativa forte – come lo sciopero – contro le riforme in cantiere sulla giustizia. “Non siamo abituati a parlare alla gente, il linguaggio giuridico può anche essere un ostacolo”, ma bisogna “saper comunicare per spiegare che non c’è nessuna chiusura corporativa, nessun atteggiamento da casta”, dice il presidente del sindacato delle toghe Giuseppe Santalucia, alla fine della tre giorni di Palermo. Nella mozione finale approvata per acclamazione al termine del congresso, letta da segretario generale dell’Anm, Salvatore Casciaro, è stato posto il tema di una “mobilitazione culturale e comunicativa – si è detto – che faccia comprendere i rischi che questa comporta per l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini e per la scrupolosa osservanza delle loro garanzie costituzionali”.

“La magistratura italiana ha conquistato un patrimonio di credibilità e di fiducia presso i cittadini – ha proseguito Casciaro, leggendo la relazione – anche pagando un prezzo di sangue tra i più alti al mondo. Esso va difeso nel quotidiano anche con le condotte dei singoli, perché costituisce un capitale sociale inestimabile”. Chiaro il no alla separazione delle carriere. “l superamento dell’unica matrice culturale tra giudici e pubblici ministeri si tradurrebbe inevitabilmente nella rinuncia a valori nevralgici per la democrazia, e innanzitutto all’obiettivo della imparziale ricerca della verità che il pubblico ministero deve perseguire, come il giudice. Separare il pubblico ministero dal giudice, quali che siano le modalità di tale separazione, distinguere le carriere all’accesso e dal punto di vista ordinamentale, separare gli organi di autogoverno, porterebbe alla istituzione di una figura professionale di ‘pubblico persecutore’, molto lontana dall’attuale organo dell’accusa, che, lo ricordiamo, oggi è preposto alla ricerca della verità ed è garante del rispetto delle prerogative dell’indagato, anche nella fase della raccolta delle prove da parte della polizia giudiziaria. Separare il pubblico ministero dal giudice avrebbe gravissime ripercussioni sull’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale indispensabile per l’attuazione del principio di eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge”, prosegue la mozione.

Nella relazione dell’Anm si è richiamato anche “all’indebolimento del Csm“. “Quanto alle riforme costituzionali – prosegue la mozione – in materia di ordinamento giudiziario e di governo autonomo della magistratura, che hanno costituito tema del dibattito congressuale, l’Associazione Nazionale Magistrati ribadisce la propria intransigente contrarietà alla separazione delle carriere e al complessivo indebolimento del Csm che ne costituiscono il contenuto principale. L’unicità della magistratura è valore fondante del nostro associazionismo: tale sua caratteristica ontologica è incompatibile con ogni possibilità di mediazione e trattativa sugli specifici contenuti delle riforme”.

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