Prima la Serie A contro se stessa, classica lotta fra bande che non fa più notizia. Poi la Serie A contro la Federcalcio, e anche qui siamo più o meno alle solite. Quindi la Figc contro il governo, per la famosa Agenzia di vigilanza economica sui club che è diventato un caso nazionale. Adesso ci si mettono pure gli arbitri: persino i fischietti si rivoltano contro il presidente Gabriele Gravina. Ormai nel calcio italiano è tutti contro tutti, il sistema sta franando sotto i piedi di chi lo governa.
Una categoria senza pace – Colpa dell’ultima idea di Gravina, che vuole introdurre il suffragio universale tra i fischietti, proposta non concordata con la base (paradossale per chi fino a ieri si lamentava delle riforme calate dall’alto dal governo, no?), che ha scatenato una sommossa. Ma per spiegare bene le implicazioni di questa riforma bisogna fare un passo indietro. E non è esagerato prenderla così alla lontana e ritornare addirittura alla fine dell’era Nicchi: il padre-padrone degli arbitri aveva tenuto l’Aia sotto una cappa di terrore e controllo. Nessuno lo rimpiange, ma saltato lui è stato come scoperchiare il vaso di Pandora. Il suo successore Alfredo Trentalange ha avuto vita breve: aveva promesso innovazione e trasparenza ma ne sono successe di tutti colori (lo scandalo dei giudizi manipolati esploso comunque sotto il suo mandato, rimborsopoli, infine il caso del “procuratore narcotrafficante” D’Onofrio) ed è stato costretto a dimettersi da Gravina. La Figc allora ci ha messo Carlo Pacifici, l’attuale numero uno, che però non ha pacificato un bel niente. Oggi l’Aia è un’associazione dilaniata dalle lotte intestine: da una parte l’ala vicina alla Federazione e a Gravina, il designatore Gianluca Rocchi, lo stesso Pacifici; dall’altra Trentalange (che intanto è stato assolto da tutte le accuse) e il suo storico vice Duccio Baglioni, in mezzo una serie di pontieri, incerti, o chi semplicemente non vorrebbe schierarsi. Persino il Comitato è spaccato a metà. Ingestibile, ingovernabile. E qui arriviamo all’attualità e alla riforma di Gravina.
Il suffragio elettorale, una mossa per ricchi? – La Federazione ha deciso di cambiare lo statuto, con alcune novità: le principali sono la durata biennale della carica di designatore (per dare più stabilità) e il suffragio universale; fino ad oggi i fischietti eleggevano nelle sezioni i loro delegati (in base alla dimensione del collegio) e questi indicavano il presidente, da domani voterebbero tutti direttamente. Ufficialmente la riforma nasce per rispondere alla richiesta di maggior democrazia contenuta nei nuovi principi Coni. In realtà, è evidente l’intenzione di cambiare la storia delle prossime elezioni: se si votasse oggi, quasi sicuramente prevarrebbe la parte più lontana dalla Figc, potrebbe tornare persino Trentalange. Uno smacco per Gravina. Un rischio che, per quanto minimo (gli arbitri contano appena il 2% in Figc), la Federazione non vuole correre. Di qui la mossa di bloccare l’iter elettorale, che sarebbe dovuto partire nelle scorse settimane, prendendo tempo e ora cambiando le regole del gioco. Forse qualcuno pensa che col voto diretto un grande nome come Rocchi (il candidato preferito da Gravina) avrebbe più chance.
Le proteste e il doppio ruolo di Pacifici – Peccato che la riforma non sia stata per nulla gradita dal mondo degli arbitri. La base è in rivolta, in particolare i presidenti di sezione che praticamente da volontari mandano avanti il movimento sul territorio e si vedrebbero privati dell’unica cosa che hanno davvero, il potere politico: presenteranno un documento unitario, minacciando dimissioni di massa. Anche Pacifici a parole si è subito schierato contro la riforma del suo “alleato” Gravina, criticandone il metodo e promettendo battaglia in consiglio federale, ma la sua posizione è quantomeno ambigua visto che dalla Figc filtra che il presidente e il suo vice Alberto Zaroli erano al corrente e aveva condiviso i contenuti. L’opposizione è pronta a chiedergliene ufficialmente conto in Comitato.
Una riforma “politica” – Se per giusta in linea di principio (il voto diretto è meno manipolabile rispetto a quello delegato), la riforma di Gravina pecca però nella sostanza e nella forma. Anche l’Aia sa di dover allargare la propria base elettorale, ma non si può non tener conto delle specificità di un’associazione dove, su circa 30mila associati, un buon 20% è fatto da minorenni, e per altrettanti il mestiere di arbitro è una parentesi che si conclude nel giro di 1-2 anni, meno della durata di un mandato: far votare tutti in maniera indiscriminata potrebbe non essere necessariamente un esercizio di democrazia. E poi l’intento politico è fin troppo smaccato: perché allora non far votare anche tutte le società in Lega Dilettanti, o tutti i calciatori nell’Aic? In questo clima, non è più così scontato che la riforma vada in consiglio federale per l’approvazione già martedì, come nei piani di Gravina. Rispetto al muro contro muro, un’alternativa (forse anche per provare a pacificare l’associazione in futuro) potrebbe essere una terza via: la mediazione promossa insieme a Michele Affinito da Antonio Zappi, figura manageriale attualmente a capo del Veneto, vicino ai vertici Aia (Orsato e Rocchi), non del tutto sgradito alla Federazione ma accettato dalla base, che riformerebbe l’Aia dall’interno (il compromesso: no al suffragio universale ma aumentare i delegati da 340 a 1000, fra cui di diritto i presidenti di sezione). Intanto però il risultato è che l’associazione degli arbitri – la figura che per antonomasia dovrebbe rappresentare la terzietà nel gioco del pallone – è attraversata da lotte intestine e trame politiche. E questo perché sono i vertici del calcio italiano, a partire da Gravina, ad averla politicizzata. Una situazione semplicemente inaccettabile. Poi il pallone piange se il governo ci mette le mani.