Corto circuito sull’entrata in vigore della sugar tax in forma ridotta dall’1 luglio, uno dei motivi di tensione tra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e Forza Italia insieme allo spalma crediti del Superbonus. La relazione tecnica dell’emendamento governativo al dl sulle agevolazioni fiscali in edilizia depositato nella notte tra venerdì e sabato dice infatti il contrario rispetto al contenuto del testo firmato dall’esponente leghista. Sostiene che il comma 7 dell’articolo 9 bis, introdotto nel testo dal governo, è volto “a differire, dal 1° luglio 2024 al 1° luglio 2026, la decorrenza dell’efficacia delle disposizioni introduttive dell’imposta sul consumo delle bevande analcoliche edulcorate (sugar tax) riducendo, allo stesso tempo, le aliquote”. Insomma: secondo la Ragioneria generale dello Stato, che ha steso la relazione, l’entrata in vigore della tassa verrebbe nuovamente rinviata. Proprio come chiedono i forzisti e le associazioni di categoria dei produttori di bibite, che hanno lanciato un’offensiva sostenendo che l’imposta – creata nel 2020 ma sempre rimandata – è destinata a “aumentare l’inflazione e indebolire il made in Italy“.

Un errore, fanno sapere dal Mef: oggi sarà presentata la versione corretta. Ma si tratta di un incidente politicamente imbarazzante nelle ore in cui il vicepremier Antonio Tajani, parlando al Corriere, preme per una modifica dell’emendamento ricordando che ”la Camera con il parere favorevole del governo ha approvato un ordine del giorno per rinviare di un paio di anni” la tassa e si unisce al coro confindustriale nel paventare conseguenze negative sulle vendite e rischi per i posti di lavoro. Oltre ad affermare che “la normativa italiana sarebbe disallineata rispetto alle norme europee”. Anche se a marzo la Consulta, respingendo l’ipotesi di incostituzionalità della norma, l’ha promossa perché disincentiva il consumo di prodotti ritenuti dannosi per la salute “il cui eccessivo utilizzo può generare un aggravio di spesa pubblica” e ha rilevato che l’Oms ha auspicato la sua introduzione “anche nei Paesi europei che non l’hanno ancora prevista”. In Francia, Regno Unito, Irlanda, Belgio, Portogallo, Catalogna, Norvegia, Finlandia, Ungheria, Estonia e Lettonia il balzello c’è già.

La Relazione tecnica, per quanto disallineata dal testo governativo, consente comunque di quantificare l’impatto della tassa sui conti pubblici ipotizzando che sia introdotta in misura dimezzata rispetto alla previsione iniziale, fissandola quindi a 5 centesimi al litro (0,13 euro al chilo per i prodotti in forma solida da consumare diluiti). Il gettito atteso all’epoca del varo della norma era di circa 320 milioni l’anno. La Ragioneria guidata da Biagio Mazzotta, già nel mirino di Giorgetti per aver bollinato i decreti sul Superbonus che sottostimavano di decine di miliardi la spesa effettiva, ora parte dal presupposto che la tassa entri in vigore solo nel 2026. La perdita per le casse dello Stato legata al “differimento dell’efficacia della norma” sarebbe di 139 milioni nel secondo semestre 2024 che salirebbero a 288 nel 2025. Anche negli anni successivi sono previste delle minori entrate, causate però solo dalla riduzione dell’importo della tassa.

Posto che per il Mef l’imposta deve entrare in vigore, la tabella può essere letta al contrario. E quei 139 milioni per il 2024 e 288 per il 2025 diventano entrate che Forza Italia, nel chiedere un ulteriore rinvio, dovrà dire come intende sostituire. Si tratta di cifre relativamente contenute, ma di questi tempi la coperta è cortissima. Meno di due settimane fa il governo ha dovuto rinviare al 2025 il bonus tredicesime nonostante la platea di beneficiari fosse stata talmente circoscritta da ridurre il costo a circa 100 milioni di euro.

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